Super Sud, un tuffo nella storia: la Marina mercantile e la cantieristica navale

«La mattina del 27 scorso salpammo da Napoli, alle 5, malgrado il vento contrario, alle 7 eravamo al faro di Procida….nella notte essendosi stabilito il vento a S E ci dirigemmo a Fiumicino dove si giunse a mezzogiorno. Colà ci vedemmo venire incontro alcune barche, quasi in soccorso, perché i marinai di esse, ingannati dal fumo che esalava dalla macchina a vapore, e dall’esser priva di vele, dubitavano di qualche incendio; più di una volta ci è avvenuto l’istesso in questo viaggio…».

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«Malgrado le opposizioni che soglion sempre incontrare anche le più belle fra le umane scoperte, sembra che si cominci a riconoscere universalmente l’utilità di quella dei bastimenti a vapore. E’ innegabile che per mezzo di essi si ottiene una maggior celerità nel tragitto dei viaggiatori e nel trasporto delle merci, come pure che si diminuiscono grandemente le spese, giacchè è provato dall’esperienza che 10 persone bastano in una nave a vapore per supplire alle manovre, le quali in una nave ordinaria di simil grandezza ne richiederebbero almeno sessanta».

Cosi il “Giornale delle Due Sicilie” del 16 ottobre 1818 raccontava, per bocca di un protagonista di quella vicenda, il viaggio inaugurale, 27 settembre 1818, del “Ferdinando I”, prima goletta a vapore del Mediterraneo, costruita a Napoli nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena, e varata il 24 giugno 1818. Mai, prima di quella data, alcun mezzo navale a vapore aveva visto la luce ed aveva “osato” solcare il mare aperto. Nasceva, così, la navigazione d’altura con propulsore a vapore.

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In appena trent’anni la marineria del Sud Borbonico divenne la seconda d’Europa, preceduta solo da quella inglese

Era il primo successo di prestigio di una marineria, quella del Sud, che da quel momento, ed in appena una trentina d’anni, di obiettivi importanti ne avrebbe conseguiti tantissimi, diventando la seconda d’Europa, preceduta soltanto da quella inglese. Sicché, se nel 1818, anno del varo della prima imbarcazione d’altura a trazione a vapore, il numero delle navi di cui disponeva il Regno era di 2.387, nel 1833 era cresciuto a 3.283 di cui 262 di oltre 200 tonnellate e 42 superiori alle 300; nel 1834 il numero era già aumentato a 5.483, nel 1838 era arrivato a 6.803 e, 14 anni dopo, era già di 8.884.

Infine, nel 1860, erano 9.848 i bastimenti a disposizione, per complessive 259.910 tonnellate di stazza, e così suddivisi: 17 piroscafi a vapore per 3.748 tonnellate, 23 bark per 10.413 tonnellate, 380 brigantini per 106.546 tonnellate, 211 brick schooners per 33.067 tonnellate, 6 navi per 2.432 tonnellate ed innumerevoli imbarcazioni per la pesca.

Fu poi istituita la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo, “Amministrazione Privilegiata dei pacchetti a vapore delle Due Sicilie”, che realizzò un regolare servizio di linea e assunse dal Governo del Regno la concessione del trasporto della corrispondenza postale.

La ‘Francesco I’

E nel 1833, cioè ben 50 anni prima rispetto ad altre iniziative del genere, fu in netto anticipo sui tempi la prima crociera turistica organizzata: sul piroscafo “Francesco I” si imbarcò tutta l’aristocrazia continentale. In tre mesi di viaggio l’imbarcazione toccò i principali porti del Mediterraneo, spingendosi fino a Istanbul e sbalordendo il mondo per la cura, l’efficienza e la qualità dell’organizzazione. La marina mercantile borbonica non aveva più concorrenti in Europa, fatta eccezione ovviamente per la flotta britannica.

I sovrani delle due Sicilie, ebbero sempre in grande importanza lo sviluppo dell’attività marittima

Tutto questo era frutto dell’enorme importanza che i sovrani delle Due Sicilie attribuivano – anche in considerazione della posizione geografica del proprio territorio, slanciato nel mare ed al centro del Mediterraneo – allo sviluppo dell’attività marittima sia come singolo fattore di sviluppo, sia come supporto a quello dell’industria in genere: il che suggerì a Ferdinando I l’adozione di una politica fiscale che ne consentì l’espansione.

Il governo regio diede impulso alla formazione e alla crescita di un classe armatoriale all’altezza dei tempi e delle nuove esigenze, attraverso la concessione di premi e contributi da assegnare agli armatori per ogni tonnellata di naviglio costruito, e incoraggiò con sostanziosi finanziamenti di Stato la costruzione di mezzi superiori alle duecento tonnellate; inoltre promosse l’incremento dei traffici marittimi e non solo di cabotaggio, definendo esenzioni di traffico, anche di tipo oltreoceanico.

Crebbero, così, gli investimenti privati nell’armamento mercantile e si sviluppò rapidamente il libero associazionismo. Le navi, cresciute in dimensione e sicurezza, furono in grado di affrontare anche viaggi molto più lunghi e questo, in uno con la decisione del sovrano di accordare una diminuzione del 20 per cento del dazio sulle merci importate dalle Americhe e dal Baltico, consentì di organizzare in maniera continuativa e sistematica i collegamenti con queste due aree. Viaggi che solo qualche anno prima sarebbe stato follia anche solo sperare.

La crescita della marina mercantile del Regno fu inarrestabile, e non solo in quanto a numero di mezzi a disposizione e loro consistenza ma anche in ritorno economico, se è vero com’è vero che in una relazione del 1865 sul movimento marittimo commerciale si legge che, nel quadriennio 1840/44, il movimento era stato di 27 milioni di ducati, per arrivare poi nel quadriennio successivo a 29 milioni e per toccare quota 31 milioni di ducati nel 1850/54, approdando infine ai 34 milioni e 355mila ducati nel quadriennio 1855/59.

E poiché, come recita l’antica saggezza «nun c’è bisogno da zingara pe’ nduvinà cuncé», non è necessario essere dotati di un’intelligenza particolarmente acuta per rendersi conto che tanta sovrana predilezione per il mare e per le attività ad esso collegate abbia prodotto conseguenze enormemente positive per lo sviluppo dell’economia borbonica e di quella del settore in particolare.

Un cantiere navale, collegato con scuole marittine e nautiche, in ogni città costiera del Sud. A Castellammare di Stabia, il più importante

Tutte le città costiere, tirreniche, ioniche o adriatiche che fossero, ospitavano sul proprio territorio un cantiere navale, collegato a scuole di formazione professionale, scuole marittime e nautiche. Il maggiore e più conosciuto cantiere dell’epoca era, però, quello di Castellammare di Stabia che dava lavoro ad oltre 1800 operai.

Voluto nel 1773 da Ferdinando IV, fu realizzato nell’area che precedentemente ospitava il convento dei Carmelitani. La sua produzione, inizialmente riservata alla marina mercantile, successivamente diventò militare. Al suo successo collaborarono, fornendogli in quantità copiosa il legno per costruire le imbarcazioni, le verdi e folte pendici del vicino Monte Faito.

Le acque minerali, presenti in grande quantità nell’area, convogliate in grandi vasche, servivano a tenere a mollo il legname e ad accelerarne il processo di stagionatura. La Fonderia reale di Pietrarsa e quelle private come la Zino fornivano i motori. I vascelli erano costruiti su di uno scalo stabile, mentre per le corvette ne venivano utilizzati due provvisori.

Dal 1843 il cantiere venne anche dotato di una speciale struttura, forte di dieci argani in grado di trascinare in secca imbarcazioni di tutte le stazze. Il varo della prima nave costruita in loco fu quello della Corvetta ‘Stabia’ il 13 maggio del 1876. Seguì qualche mese dopo, il 16 agosto, il varo della ‘Partenope’.

Salito al trono Ferdinando II, per il cantiere di Castellammare si aprì un periodo di vorticosa crescita. Fu ampliato, rimodernato e attrezzato per sviluppare su larga scala la trazione a vapore: è nel cantiere stabiese che fu realizzata e varata, nel 1850, la fregata a vapore “Ettore Fieramosca”, la prima nave dotata di una motore da 300 cavalli, costruito a Pietrarsa. L’era dei pesanti vascelli di legno a poppa tonda, potenti ma decisamente lenti, si chiuse il 18 gennaio 1860 quando Re Francesco II varò la “Borbone” di 3.680 tonnellate.

Nel 1850 il vascello “Monarca” prima nave da guerra italiana costruita al Sud

Nel ventennio fra il 1840 ed il 1860 a Castellammare furono costruite navi per oltre 43.000 tonnellate di stazza. Risale, infine, al 1850 la costruzione del vascello “Monarca”, la prima nave da guerra costruita in Italia, dotata di ben 70 cannoni: e dieci anni dopo venne fornita anche di un propulsore ad elica. Poco più piccolo, ma non per questo meno importante, anche dal punto di vista produttivo-occupazionale, il Cantiere di Napoli, costato oltre 300.000 ducati, dava lavoro a 1.600 persone e consentiva al Regno delle Due Sicilie di essere assolutamente indipendente da Inghilterra e Francia per la manutenzione della propria flotta navale, fosse essa civile che militare.

Era l’unica struttura cantieristica italiana ad essere fornita, per il varo delle navi, di un bacino di carenaggio in muratura di ben 75 metri e in dotazione all’Arsenale della Marina. Il cantiere napoletano era entrato in attività il 15 agosto del 1852 ed era fornito, a differenza degli altri, di macchine utensili: piallatrici, foratrici, piegatrici, presse idrauliche e fuochi di fucina, tutte meccanizzate.

A fianco di questi due grandi cantieri, altri minori erano sorti in tutto il territorio. Il principale fra i minori era quello di Gaeta che poteva vantare una notevole tradizione di eccellenti marinai e abilissimi costruttori di imbarcazioni. Esso aveva una caratteristica particolare: le barche, infatti, venivano realizzate sugli arenili, senza alcuna struttura fissa. Scalo ed avanscalo erano entrambi “provvisori”, montati e freneticamente attivi d’estate ma rimossi d’inverno, quando quello spazio ridiventava “spiaggia libera”. Qui i maestri d’ascia e i carpentieri utilizzavano per la produzione attrezzi realizzati anch’essi in maniera artigianale.

Probabilmente, leggendo quanto da noi scritto finora ve ne sarete già convinti da soli e non ci sarebbe neanche bisogno di ribadirlo, ma, come si dice, «repetita juvant» e vale la pena di sottolinearlo ancora. Una monarchia che si impegnava e credeva tanto nelle potenzialità del mare, non poteva, non essere consapevole, come scritto anche nel decreto reale di riforma del sistema amministrativo e disciplinare di alcune scuole nautiche (28 ottobre 1831), della «necessità della istruzione delle popolazioni marittime».

Da qui la nascita, la promozione e lo sviluppo qualitativo, oltre che quantitativo, degli istituti nautici sul territorio: al momento dell’Unità erano 14. La scuola più importante, nota anche al di fuori dei confini dell’Italia meridionale, era quella dedicata all’istruzione degli allievi macchinisti di Pietrarsa: la prima in Italia dedicata alla formazione dei “piloti” di treno. Del resto non avrebbe potuto essere diversamente visto che proprio a Pietrarsa era stato costruito e poi inaugurato il primo mezzo italiano circolante su binari. Altre scuole nautiche decisamente rinomate, erano localizzate a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto, Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Procida e Reggio.

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