Super Sud, un tuffo nella storia: I 127 anni di Regno dei Borbone al di qua (Citra) e al di là (ultra) il faro

La denominazione di Regno delle Due Sicilie era conseguenza del fatto che i territori che formavano i Reali Domini erano localizzati al di qua (Citra) ed al di là (Ultra) del Faro ovvero dello Stretto di Messina e, quindi, si estendevano dentro e fuori della Sicilia. Non si può certo dire, però, che questo territorio, fino all’avvento dei Borbone, fosse molto ben frequentato e trasudasse ricchezza e benessere.

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Le cose, però, cambiarono il 10 maggio del 1734, quando il Regno passò nelle mani di Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V, re di Spagna, e di Elisabetta Farnese, che rioccupò Napoli e restituì alla Nazione napoletana la propria indipendenza, sotto le insegne di uno scettro che metteva insieme i gigli d’oro della Casa di Francia, i sei gigli azzurri di Casa Farnese, i simboli della tradizione delle Due Sicilie: il cavallo impennato di Napoli e la Trinacria, emblema della Sicilia.

Quasi a voler simboleggiare la continuità della monarchia meridionale, Carlo volle che la cerimonia della sua incoronazione avesse luogo nel duomo normanno di Palermo nel 1735. Lo stesso posto, cioè, dove nella notte di Natale del 1130 era stato incoronato Ruggero II di Altavilla, dando il via alla storia del Regno di Sicilia.

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Una trasformazione che si può facilmente evincere dal numero degli abitanti che presero residenza nel territorio: nel 1689 si contavano 2.718.330 anime, con l’avvento dei Borbone divennero 3.044.562 che nel 1775 crebbero fino a 4.300.000. Nel 1815, anno del ritorno dei Borbone, dopo i 40 di reggenza vicereale, erano già diventati 5.060.000, nel 1836 6.081.993, nel 1846 divennero 8.423.316 e nel 1856 crebbero fino a 9.117.050.

A cosa fu dovuta questa vorticosa crescita della popolazione? E’ presto detto: alla ricchezza ed alla prosperità che i Borbone seppero regalare ai propri sudditi. In 127 anni di buon governo. E, soprattutto, per quello che seppero fare dal momento del loro ritorno a Napoli nel 1815.

11 dicembre 1816, arriva lo Statuto

Cominciarono con lo Statuto dell’11 dicembre del 1816 a confermare la denominazione di Regno delle Due Sicilie, indicazione, poi, ribadita con atto del 26 maggio 1821. Il primo maggio del 1816, inoltre, con apposito regio decreto, suddivisero l’Italia del Sud continentale in 15 province: Napoli, oltre ad essere il capoluogo della provincia omonima, rappresentava la Capitale del Regno stesso.

Poi le altre province: Terra di Lavoro (il cui capoluogo originariamente localizzato a Capua, fu, con decreto 15 maggio del 1818, trasferito a Caserta), Principato Citeriore (Salerno), Basilicata (Potenza), Principato Ulteriore (Avellino), Capitanata (Foggia), Terra di Bari (Bari), Terra d’Otranto (Brindisi), Calabria Citeriore (Cosenza), Calabria Ulteriore Prima (Catanzaro), Calabria Ulteriore Seconda (Reggio), Molise (Campobasso), Abruzzo Citeriore (Chieti), Abruzzo Ulteriore Primo (Aquila), Abruzzo Ulteriore Secondo (Teramo).

Sin dall’inizio, nel 1734, l’avvento dei Borbone sul trono delle Due Sicilie segnò una decisa inversione di tendenza, rispetto a quanto vi si era registrato nei decenni e nei secoli precedenti. Un territorio nel quale le ultime strade erano state costruite all’epoca dei romani, mentre i viceré spagnoli avevano continuato nel tempo ad imporre tasse e balzelli da utilizzare altrove e senza investire alcunché in loco. Il che, naturalmente, ebbe per conseguenza l’ulteriore impoverimento della popolazione del Sud d’Italia.

Campagne e terreni agricoli furono praticamente abbandonati a se stessi ed all’invasione dei boschi. La criminalità dell’epoca era diventata padrona del territorio e delle paludi, mentre i pirati aggredivano e razziavano, con continuità esasperante, le coste e le popolazioni delle città costiere. Baroni e feudatari avevano continuato – anche approfittando della colpevole assenza (o bisognerebbe dire della «complicità silente»?) del vicereame spagnolo – a fare il bello ed il cattivo tempo, a rendere sempre più difficile e complicata la libera e civile convivenza e ad appropriarsi dei terreni più fertili. Nel frattempo il commercio ormai era andato praticamente distrutto e, in assenza di esercito e polizia, non c’era più nessuno che si preoccupasse di rispettare le leggi.

1818: il Ferdinando I solca le onde del Mediterraneo e due anni dopo arriva il treno

I Borbone invertirono la rotta. Costrinsero i baroni al rispetto degli altri, della legge e del popolo; cominciarono a costruire le strade; rifondarono l’esercito; restituirono l’antica autonomia alle amministrazioni locali; rilanciarono l’industria, l’agricoltura, il commercio, la pesca ed il turismo. Sicché, da ultimo qual era all’arrivo nell’Italia del Sud della dinastia borbonica, il Regno delle Due Sicilie diventò uno dei primi nel mondo ed il primo in assoluto in Italia.

Il piroscafo Ferdinando I

Il primo piroscafo a solcare le onde del Mediterraneo, nel 1818, il “Ferdinando I”, era stato costruito interamente a Napoli. Le ferrovie, istituite nel 1820 e fino a quel momento sconosciute nel nostro Paese, fecero la loro comparsa in Italia proprio nel territorio del Regno borbonico.

Nel 1839, infatti, fu realizzata la prima tratta ferroviaria italiana: la Napoli-Portici, poi prolungata fino a Castellammare di Stabia. Nel 1842 fu realizzata, con risorse provenienti dalle casse del Tesoro, la linea che congiungeva la capitale con Capua e, successivamente, quella per Nola, Sarno e Sansevero. E bisogna aggiungere che il materiale ferroviario, così come quello navale, veniva realizzato in fabbriche localizzate nel Mezzogiorno. Il che, naturalmente, contribuì a dare impulso alla crescita delle opportunità occupazionali e, di conseguenza, allo sviluppo economico e sociale dell’Italia meridionale.

Dopo le strade ferrate, nel 1837 fece la propria apparizione – sempre fra i primi Paesi in Italia – il gas e quindici anni dopo, nel 1852, fu il turno del telegrafo elettrico. Intanto, col miglioramento della vivibilità, crebbe anche il numero degli abitanti del Regno e, per conseguenza, si quintuplicarono le entrate dell’erario pubblico. La criminalità, quella terrestre come quella marina, cominciò a subire le prime sconfitte e ridotta in condizione di non nuocere. Le strade e i porti, quindi, cominciarono a diventare sempre più sicuri.

Ne trasse immenso vantaggio anche la navigazione. Alla quale fu data un’ulteriore spinta con la promulgazione – anche qui battendo sul tempo tutti gli altri Stati italiani – del Codice marittimo e facendo nascere dal niente su tutta la costa una capillare rete di fari con sistema lenticolare. Le navi mercantili del Regno delle Due Sicilie, ormai, veleggiavano tranquillamente su tutti i mari del mondo ed in breve tempo la flotta commerciale napoletana in Europa fu seconda soltanto a quella del Regno Unito, mentre quella da guerra era inferiore soltanto a quelle inglese e francese.

Fu un pullulare di compagnie di navigazione e di cantieri navali, forniti di manodopera estremamente qualificata, ed i tecnici, fossero essi maestri d’ascia, bozzellai, velai o carpentieri, erano richiestissimi dalle industrie marittime di tutto il mondo.

Cancellate le leggi feudali, frutteti al posto delle boscaglie, bonificate le paludi

Furono cancellate le leggi feudali e si cominciò, finalmente, a mettere ordine nei territori dell’Italia del Sud. Frutteti e vigneti presero il posto delle boscaglie, vennero bonificate le paludi ed i terreni fertili che se ne ricavarono vennero distribuiti ai contadini e, infine, si provvide a ripulire i letti dei corsi d’acqua e ad arginare fiumi e torrenti. E questo consentì di dare impulso anche all’industria dell’arte bianca, sia quella molitoria che quella della pastificazione.

L’amministrazione reale mise ordine anche nella scuola: quella pubblica fu istituzionalizzata come primaria, quella religiosa fu considerata di supporto. Ne derivò una rivalità sana e ricca di motivazioni, fondata sul prestigio e la professionalità degli operatori. Il che consentì ad entrambe di crescere in qualità, preparazione e resa. Il regno ne ricavò una notevole spinta culturale e vide germogliare artisti, affermarsi nuovi pittori, letterati e uomini di cultura, ma anche architetti, scultori, maestri di musica ed insegnanti. E questa fioritura di tecnici rappresentò davvero un importantissimo volano per la crescita dell’artigianato.

L’opificio di Pietrarsa (fonte fondazionefs.it)

L’industria crebbe in maniera vorticosissima ed in appena vent’anni mise a segno risultati di grande rilievo, raggiungendo primati assolutamente impensabili solo due decenni prima. Tant’è che gli addetti all’industria del Regno – che ebbe i suoi punti di diamante nei settori dell’arte bianca, navale, tessile e metalmeccanico ed il cui gingillo era rappresentato dall’opificio di Pietrarsa che, tra diretta (1.000) ed indotto (7.000) occupava ben 8.000 persone – erano già 1.600.000 contro il 1.100.000 del resto del Paese.

 

E a differenza di quanto avveniva nell’”altraItalia”, l’orario di lavoro era già stabilizzato sulle otto ore, gli operai guadagnavano abbastanza per far vivere in maniera dignitosa le rispettive famiglie e, per primi in Italia, potevano usufruire di una pensione pubblica, grazie all’istituzione di un sistema previdenziale che prevedeva una trattenuta del 2 per cento degli stipendi.

Disoccupazione: «carneade, chi era costei?»

La disoccupazione, insomma, era praticamente inesistente. A 1.600.000 unità occupate nell’industria, infatti, bisogna aggiungere gli oltre 200.000 commercianti e circa 3.500.000 lavoratori della terra. Le banche aiutavano le imprese, concedendo loro mutui a bassissimo tasso d’interesse. Per sostenere, invece, le famiglie furono creati i Monti di Pegno e Frumentari.

A proposito di questi ultimi, nell’Almanacco del Regno delle Due Sicilie del 1854, si legge che «si ha, oltre i luoghi pii dei domini continentali un totale di 761 stabilimenti diversi di benefici, oltre 1.131 monti frumentarii, ed oltre de’ monti pecunari, delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili. Degli anzidetti monti frumentarii, 21 esistono nella provincia di Terra di Lavoro, 114 in Principato Citeriore, 206 in Basilicata, 95 in Principato Ulteriore, 42 in Capitanata, 14 in Terra di Bari, 16 in Terra d’Otranto, 49 in Calabria Citeriore, 68 nella seconda Calabria Ulteriore, 11 nella prima Calabria Ulteriore, 152 nella provincia di Molise, 92 nell’Abruzzo Citeriore, 141 nel secondo Abruzzo Ulteriore e 110 nel primo Abruzzo Ulteriore».

Ogni paese o villaggio del Regno era fornito almeno di uno sportello bancario, di grande o piccola dimensione. Ed al governo del Regno va riconosciuto di aver battuto anche un altro primato: quello di aver autorizzato – per primo nel mondo – le banche ad emettere i polizzini sulle fedi di credito, in pratica gli antenati degli odierni assegni bancari.

Ma alla crescita economica contribuì in maniera non certo secondaria anche il turismo. Sicilia, Campania e quella parte del basso Lazio compresa nei confini del Regno erano, come del resto sono ancora oggi, ricchissimi di giacimenti archeologici greci e romani, di spiagge stupende e di altri tesori e bellezze naturali, cui il governo aggiunse la creazione di musei e biblioteche i quali, invogliando tantissima gente a visitare le città del regno, imposero la costruzione di alberghi e pensioni ed i visitatori crebbero anno dopo anno.

Cominciarono, inoltre, a nascere anche le prime agenzie turistiche. Con grande lungimiranza Carlo III, resosi conto dell’enorme importanza degli scavi di Pompei ed Ercolano, profuse mezzi e denaro e, attraverso la nascita dell’Accademia di Ercolano, diede inizio ai lavori di scavo.

Appena 270 giorni per costruire il primo teatro nel mondo: il San Carlo

Teatro San Carlo
Il Teatro di San Carlo di Napoli

E furono sufficienti appena 270 giorni ai lavoratori del Regno per costruire il Teatro San Carlo, primo nel mondo nel suo genere per grandiosità e funzionalità. Intanto, quasi contemporaneamente, furono realizzati l’Officina dei Papiri, il Museo Archeologico, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano, anche in questo caso il primo nel mondo, infine la Biblioteca Nazionale.

Furono istituiti i collegi militari – fra cui, di grande prestigio ancora oggi, la Nunziatella -, le accademie Culturali, le scuole d’Arte e Mestieri. Le università, rilanciate dai Borbone, offrirono un grandissimo contributo al moltiplicarsi di tecnici, professionisti e scienziati. Inoltre, fra i tanti primati, il Regno vantava anche quello del più basso tasso di mortalità infantile: sul territorio vi era una rete capillare di ospedali e di ospizi e si poteva fare affidamento su ben 9.000 medici.

Lo Stato, insomma, godeva di ottima salute: il bilancio in attivo ed il patrimonio aureo invidiato da tutti. Al punto che al momento dell’unificazione italiana il 66,5 per cento (443milioni di lire oro) dell’intero patrimonio (668milioni di lire oro) del nascente stato unitario proveniva proprio dalle casse del Regno delle Due Sicilie. Di questo, però, parleremo più approfonditamente in prosieguo.

Grazie, infine, alla buona amministrazione pubblica e all’oculatezza nella gestione finanziaria messa a punto dal governo, la Borsa di Parigi, all’epoca la più importante del mondo, assegnò alla rendita del Regno delle Due Sicilie una quotazione pari al 120 per cento. Decisamente la più alta di tutti i Paesi del mondo. E ancora, nel 1856, la Conferenza di Parigi attribuì al Regno delle Due Sicilie il terzo posto, dopo Inghilterra e Francia, fra le nazioni più industrializzate del pianeta.

Ad analizzarli, insomma, attraverso la lettura dei risultati ottenuti, nonostante ed a dispetto della storiografia pre e post-unitaria, gli anni di governo dei Borbone sono da considerare certamente positivi: essi consentirono al Sud di riconquistare e riaffermare la propria indipendenza, rispetto a dominazioni straniere, riuscendo a produrre, come per altro vedremo più avanti, anche un notevole ed incontestabile progresso in campo economico, con conseguente crescita del benessere degli abitanti dell’area.

Lo dimostra il fatto che alla fine del regno e all’immediata vigilia dell’unificazione del 1861, quindi al tempo dell’ultimo sovrano della dinastia Francesco II, l’emigrazione, se non del tutto inesistente, era ridotta ai minimi termini; la pressione fiscale e il costo della vita bassissimi; la percentuale dei poveri al Sud pari all’1,34 per cento (come si ricava dal primo censimento ufficiale), in pratica allo stesso livello di quella presente negli altri stati preunitari; le casse pubbliche floridissime; infine, sotto il profilo dello sviluppo culturale, Napoli in gara con Parigi per la supremazia europea.

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