Unione europea, ai Paesi di Visegrad il futuro testimone della costruzione di un’Europa dei popoli?

L’Unione europea è avvertita oggi, dalle sue opinioni pubbliche, lontana e disarmata di fronte alle esigenze quotidiane dei cittadini ed agli eventi che agitano il continente europeo. Una fase di stallo, uno stato di eccessiva quiete favorita dai media iscritti al political correct corrente che fustigano ogni tentativo di critica, un’omogenizzazione delle coscienze che colpevolizza in definitiva chi dovesse uscire dagli schemi rigidamente imposti dal pensiero unico. Un’esempio per tutti è costituito dalle reazioni riservate ai Paesi ribelli ai diktat di Bruxelles, oggi metro e misura del grado di democrazia degli Stati sovrani.

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E’ il caso del gruppo di Visegrad, o V4, una comunità di stati costituitasi nel 1991 quando i dirigenti di tre paesi, la Polonia allora presieduta da Lech Wales, l’Ungheria diretta da Josef Antal e la Cecoslovacchia, allora presieduta da Vaclav Havel (e dopo qualche anno, alla fine del ’93, divisa in due paesi, Repubblica Ceca e Slovacchia) si riunirono nel nord dell’Ungheria, sulla riva destra del Danubio, per decidere un approccio unitario in vista della loro adesione alla Nato e all’Unione europea.

Ma ben al di là di questa contingenza temporale, i tre paesi avevano già dall’inizio ben chiara la necessità di creare una struttura che favorisse, nel lungo termine, l’intesa, la cooperazione e la collaborazione regionale tra vicini dal passato comune, uniti nel presente e interdipendenti nel futuro.

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Il motivo cogente rimaneva l’identica preoccupazione di garantire libertà ai popoli e sovranità allo stato nazionale, due principi che oggi vengono considerati politicamente scorretti dall’unione livellante.

I media hanno iniziato ad interessarsi del V4 in occasione del flusso migratorio di popolazioni provenienti dal Medio Oriente quando, all’unisono, i paesi Visegrad, diventati 4, hanno contestato i diktat dell’Unione europea relativi al sistema delle quote di migranti da ripartire tra i Paesi dell’Unione.

Dimostrando la propria insofferenza alla critica (e di non essere di grado – o non volere – analizzare l’opposizione manifestata dai Visegrad), la classe mediatica ha spinto fino alla caricatura le ragioni di questo no ed ha immediatamente catalogato questi Stati critici come Paesi razzisti, populisti e reazionari, attaccando in ogni occasione i loro leader, molti dei quali iscritti peraltro alla famiglia progressista europea.

Questi media però fanno un’operazione di falso storico che non risponde alla natura originale del V4 i cui membri condividono particolarità storiche e geografiche fondamentali.

Innanzitutto la loro situazione geografica si situa all’est dell’Europa occidentale, vale a dire in luoghi storicamente sempre in prima linea di fronte alle invasioni barbariche del continente europeo, lotte che hanno instaurato in questi popoli quella consapevolezza di essere loro stessi l’estremo baluardo della civiltà europea.

Ciò significa che questi paesi hanno una lunga memoria europea e una chiara consapevolezza della loro specificità iscritte nel dna nazionale, in sintonia all’ideale dell’Europa dei popoli e degli stati, un principio che mal si adatta oggi alla visione sopranazionale di Bruxelles, così legata alla cancellazione delle peculiarità e delle sovranità nazionali ed alla costruzione di un progetto principalmente economico ed industriale di matrice tedesca (lebensraum).

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Vista dalla porta di Brandeburgo, l’Unione europea appare oggi come la riviviscenza pacifica ma decisa di quell’espansionismo prussiano che trovava le sue radici lontane nel Drang nach Osten, la spinta verso est, caro all’imperatore Federico II Hohenstaufen

Una delle principali sfide cui, prima o poi il V4, dovrà confrontarsi sarà quella di affrancarsi dall’egemonia tedesca soprattutto in relazione al comparto industriale, tenendo ben presente comunque che nel caso di implosione di questa Unione europea, il vero rischio consisterebbe nel tentativo americano di infiltrarsi in Europa centrale, zona ideale per creare un tampone contro la Russia, esasperando i motivi di una nuova guerra fredda.

Oggi non sapremmo dire se, nonostante i suoi 26 anni di esistenza, questo gruppo di Visegrad, risvegliato dal suo letargo proprio dalle prese di posizione decise e unisone contro le politiche europee, mondialiste e anti-Stati nazione, possa rappresentare un’alternativa di peso di fronte a un’Europa moribonda. Certamente, se oggi l’Unione europea implodesse, solo questi Paesi del gruppo di Visegrad sembrano di essere in grado di prenderne il testimone, offrire un’alternativa e procedere a una rifondazione con una filosofia necessariamente differente a quella che sta portando al collasso oggi l’attuale sistema di collaborazione degli Stati europei.

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