Meloni: «Cambiamo la nazione o non c’è bisogno che stiamo al governo come tutti gli altri»

A Brescia Meloni rilancia sulle riforme

La riforma istituzionale è «una priorità» e chi dice il contrario «prende in giro», perché «ha paura di rimettere il potere di scelta dei cittadini al centro delle dinamiche». Dal palco di Brescia, Giorgia Meloni rilancia la sua sfida per «la stabilità dei governi», ed è difficile ignorare come non faccia alcun riferimento all’Autonomia, tema caro da quelle parti, e soprattutto ai leghisti.

In primis Matteo Salvini, che la precede nella scaletta del comizio per il candidato Fabio Rolfi e indica come obiettivo di «fine legislatura» arrivare a «un’Italia federale, con i cittadini che eleggeranno direttamente il presidente del Consiglio e la sua maggioranza di governo. E per cinque anni il voto dei cittadini non si tocca». Non sono solo sfumature, alla vigilia di un turno di amministrative che coinvolge 6,3 milioni di abitanti e che «può incidere sul peso del nostro governo», come ha ammesso Silvio Berlusconi, in un videomessaggio dall’ospedale salutato al Gran Teatro Morato da grandi applausi da parte dei bresciani che sperano di cambiare colore all’amministrazione.

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Dopo il test di Udine, sarà la prima vera prova elettorale per la segretaria dem Elly Schlein, che ha trascorso il venerdì in Toscana, dove il centrosinistra spera di riprendersi Siena, Massa e Pisa, quest’ultimo uno dei quattro capoluoghi dove Pd e M5s sono alleati. «Non è in agenda, non è sul tavolo un’alleanza strutturale», ha ribadito dalla Puglia Giuseppe Conte, che intanto si è trovato in sintonia con Schlein sulle critiche all’intervento di Meloni agli Stati generali della natalità. «È pieno di ipocrisia», il giudizio dell’ex premier. «La denatalità – ha notato la segretaria dem – si contrasta con meno lavoro precario».

Meloni: «A me interessa quello che pensa la gente»

Seppur con toni diversi, da Brescia la premier ha rilanciato i concetti espressi in mattinata sul palco condiviso con Papa Francesco. Dogmi rafforzati da Salvini: «Domenica è la festa della mamma non del genitore 1, 2 o 3. Adozioni gay e uteri in affitto non fanno parte del Paese in cui voglio crescere i miei figli. Giù le mani dai bambini». Ci sono dossier su cui l’anima leghista e quella di FdI sono meno allineate, dalle nomine, fino appunto all’Autonomia. I diretti interessati, però, smentiscono questo tipo di narrativa.

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Meloni è fiera dei suoi ministri, «di Matteo», e «fierissima di Silvio, un leone». «Quando leggo la rassegna stampa capisco che è meglio non farlo, a me interessa quello che pensa la gente», assicura la presidente del Consiglio, «stanchissima» per i sei mesi a Palazzo Chigi che «sembrano una vita sospesa». Salvini liquida come «incredibili» le ricostruzioni sui «dissapori con Giorgia: andremo avanti come treni per 5 anni, non ci ferma nessuno».

Respinti al mittente anche gli attacchi da oltreconfine. «In politica estera questa nazione non si inchina a nessuno», l’avvertimento della leader di FdI che tra il Consiglio d’Europa e il G7 potrebbe avere un incontro con Emmanuel Macron. «Abbiamo dimostrato di saper difendere l’interesse nazionale – ha sottolineato Antonio Tajani, collegato da Oslo -, quando siamo stati attaccati abbiamo sempre risposto a schiena dritta. Noi siamo pronti al dialogo ma nessuno deve permettersi di offendere l’Italia».

A Palazzo Chigi sono convinti che le offensive da Parigi e Madrid siano legate a «regolamenti di conti interni», a ragioni di consenso in calo. Il consenso del governo Meloni sarà a sua volta messo alla prova fra il voto di questo week end e i ballottaggi di fine maggio. «O questa nazione la cambiamo davvero o non c’è bisogno che stiamo al governo come tutti gli altri – la promessa di Meloni -: ci saranno giorni difficili e belli, ma posso assicurarvi che quando avremo finito il nostro lavoro sarete fieri di essere italiani». E per essere «buoni italiani», ha ricordato Berlusconi, «bisogna andare a votare».

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