Super Sud, un tuffo nella storia. Nel settecento, un crogiuolo culturale con pochi paragoni in Italia e nel mondo

Già nel Settecento Napoli e l’Italia meridionale erano un crogiuolo culturale, con pochi paragoni in Italia ed anche al di fuori dei confini peninsulari. Ma i sovrani del Sud, non s’accontentavano. Volevano, evidentemente, di più. Di qui l’ulteriore rigoglioso rifiorire degli studi filosofici, giuridici, economici, scientifici, reso possibile anche dalla presenza contemporanea entro i confini del Paese di studiosi di grande preparazione e personalità, le cui opere, cosa non molto usuale all’epoca, venivano tradotte e studiate in tutte le lingue del mondo.

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Ci riferiamo, tanto per fare solo qualche esempio, a Gianbattista Vico, ancora oggi ritenuto una delle teste pensanti più fervide di tutti i tempi, al giurista Gaetano Filangieri, autore della «Scienza della Legislazione», cui faceva spesso riferimento anche Napoleone Bonaparte che lo definì come il «giovane che è stato il maestro di tutti noi», e, poi ad Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Giacomo Della Porta, Pietro Giannone, Mario Pagano e tantissimi altri.

Un centro di pensiero al Sud, secondo solo a Parigi, che attraeva le menti più brillanti dell’epoca

Sicché, in brevissimo tempo, Napoli divenne un centro di pensiero di rilievo internazionale, secondo in Europa soltanto a Parigi. Il livello di diffusione dell’Illuminismo, lo splendore della Corte e della società napoletana, avevano fatto della capitale un grande polo di attrazione per i cervelli dell’epoca. Quanta differenza con la Napoli e con il Sud di oggi che, invece, le menti le allontanano, anziché attirarle.

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E se Goethe attribuiva alle classi elevate del Sud «una preparazione non comune», Stendhal assicurava che «Napoli è l’unica capitale d’Italia, tutte le altre grandi città sono delle Lione rafforzate» e aggiungeva che la città era «la più grande d’Italia e tra le prime quattro d’Europa». Ed era ben meritata, quindi, la definizione di «città più allegra del mondo, scintillante di carrozze» dove «la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni e il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia ed i suoi derivati».

E se, come abbiamo scritto prima, la case editrici napoletane pubblicavano il 55 per cento di tutti i libri pubblicati in Italia, il Real Ufficio Topografico dell’esercito mise a punto delle carte topografiche, sia marittime che terrestri, di grande pregio e precisione. Napoli, tra l’altro, era anche sede di numerosi convegni scientifici internazionali mentre si succedevano le inaugurazioni di Biblioteche e Accademie Culturali (una per tutte: l’Ercolanese, istituita nel 1755). Qui vide la luce anche il Gabinetto di Fisica del Re.

1737 inaugurato il teatro lirico d’Europa e Napoli diventa capitale mondiale dell’opera

Ma non basta. Se l’Italia era da tutti considerata la terra del melodramma, Napoli era la capitale mondiale dell’Opera e non fu un caso, quindi, che il più antico teatro lirico d’Europa, il San Carlo, vedesse la luce proprio qui il 4 novembre del 1737: con 31 anni d’anticipo rispetto alla Scala di Milano e 51 rispetto alla Fenice. Né fu certo un caso che l’unica volta che il Massimo partenopeo interruppe la sua attività a causa di una grave crisi economica con sospensione dei contributi, fu ad Unità già realizzata, ovvero nel biennio 1874-76.

L’incendio del San Carlo in un dipinto di Salvatore Fergola

Il San Carlo andò a fuoco nel 1816 ma venne ricostruito in soli dieci mesi. I Borbone, in verità, non furono tutti grandi estimatori della lirica ma nessuno di loro “osò” disturbarne l’”opera”. Anzi. In molti, poi, contribuirono a farne crescere la fama e l’attrazione nel mondo: tra essi anche grandi compositori come Alessandro Scarlatti, Gianbattista Pergolesi, Nicola Piccinini, Nicolò Porpora, Domenico Cimarosa, Saverio Mercadante, Giovanni Paisiello (cui si deve l’inno nazionale del Regno, voluto da Ferdinando IV nel 1787).

Giovanni Paisiello

E fu proprio al San Carlo che nacquero la più antica scuola di ballo italiano e la prima scuola di scenografia, affidata a Antonio Niccolini. Ma di teatri lirici ve n’erano in tutte le parti del regno: solo la Calabria ne allineava ben 4. Non solo: importantissimi i conservatori musicali come quello di San Pietro a Majella, il più prestigioso del mondo, o ancora l’Accademia Filarmonica e la Scuola Musicale Napoletana. Fu allora che la Canzone napoletana cominciò a conquistare il mondo.

 

Il Regno delle Due Sicilie inventa il welfare state

E a proposito di record, il sito internet dell’Enpals (Ente nazionale per la previdenza dei lavoratori dello spettacolo) informa che «nel 1821, con un Regolamento approvato dal Real Rescritto, fu istituita a Napoli, nel Regno delle Due Sicilie, una Cassa delle Pensioni e Sovvenzioni dei professori giubilati (cioè pensionati) addetti ai reali teatri. Le entrate della cassa derivavano da contribuzioni versate dal personale, dai proventi delle multe ad esso inflitte, da sovvenzioni dello Stato e dall’incasso di due serate di beneficio del Real Teatro San Carlo.

Le prestazioni erogate della Cassa consistevano in un trattamento di giubilazione (pensione), anche reversibile alle vedove dei dipendenti, in sovvenzioni una tantum alle famiglie dei dipendenti deceduti prima di aver maturato l’anzianità minima richiesta per l’accesso alla giubilazione, in sovvenzioni agli artisti divenuti inabili prima di aver maturato dieci anni di servizio e, infine, nell’assistenza medica gratuita». In pratica, nasceva a Napoli il primo welfare state.

La Corte dei Borbone finanziò un politica culturale di tutto rispetto e fece nascere la Scuola Pittorica di Posillipo e al Sud crebbero pittura e scultura

Palazzo Reale di Napoli

E nasceva anche una seria politica culturale. Commissionando opere e finanziando mostre, la Corte dei Borbone aiutò la crescita anche della pittura e della scultura. Ne fa fede la Scuola Pittorica di Posillipo le cui massime espressioni pittoriche furono Gigante, Smargiassi, Vianelli, Fergola e Polizzi. In ambito architettonico, poi, nacquero le stupende strutture dei Palazzi reali di Napoli, Portici e Caserta, il Casino del Fusaro, l’acquedotto Carolino, il complesso di San Leucio, il Real Sito di Carditello o i due prestigiosi esempi siciliani della Palazzina Cinese e della Dimora Reale della Ficuzza a Palermo.

Poi la pagina dell’archeologia. Nel 1738, per volontà di Re Carlo III di Borbone, furono avviati i lavori degli Scavi di Ercolano e Pompei che rivoluzionarono la storia del mondo e la civiltà europea. Da quelle antichità risorte prese l’avvio anche la civiltà neoclassica nell’Europa dei Lumi. Nacque, ad esempio, l’Officina dei Papiri, un laboratorio che aveva il compito di restaurare i reperti rinvenuti negli scavi di Ercolano.

E si deve a Carlo III, nel 1755, un bando per la tutela del patrimonio artistico delle Due Sicilie: il provvedimento prevedeva pene detentive per chi esportava e vendeva materiale d’epoca. Bando reiterato da Ferdinando I nel 1766, 1769 e nel 1782. Era, infine, il 1839 quando Re Ferdinando II nominò una “Commissione di Antichità e Belle Arti”, con il compito di tutelare e conservare i beni culturali.

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