Conte ammette: i fondi dall’Ue arriveranno soltanto nel 2021. E in Senato è allarme maggioranza

«Sempre più vicini alla meta». «Posizioni ancora lontane». Potremmo finire qui, perché è evidente che il Consiglio europeo di ieri si è risolto in un nulla di fatto. Da un lato l’Italia con il suo ministro Amendola e dall’altro la Svezia con il suo premier Stefan Lofven. Due visioni diverse su come affrontare la gravissima crisi economica che si è aperta con l’epidemia di Covid-19 e che sembrano non convergere, o almeno al momento trovare un punto di sintesi.

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Si sa la politica non è la geometria e quindi può capitare di imbattersi nelle «convergenze parallele», ma la verità è che il Consiglio di ieri, tutt’altro che informale come il presidente ha fatto credere, è servito soltantoa certificare le posizioni distinte e distanti presenti tra i Paesi europei.

A dir la verità la mattina di ieri non si era aperta bene. Bastava leggere La Stampa per rendersi conto dell’aria che sarebbe spirata in Europa. Una revisione profonda del Recovery Fund con meno soldi stanziati e soprattutto concessi all’Italia e per un periodo più limitato nel tempo. Insomma, per il giornale torinese di quella proposta di Ursula von der Leyen sarebbe rimasta soltanto l’impalcatura ma la sostanza sarebbe cambiata totalmente.

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Poi gli incontri, in rigorosa teleconferenza (chissà forse questa modalità ha fatto ritenere che fosse un incontro informale) hanno certificato che la via di un accordo è molto lunga. Addirittura a fine luglio, prima dell’estate, o anche dopo. Quello che è certo è che se arriveranno i soldi se ne parlerà per il prossimo anno.

Michels: su Recovery Fund consenso ma ci sono visioni differenti

Charles Michel

Il presidente del Consiglio Ue Charles Michel al termine del vertice europeo ha spiegato che «sul Recovery fund e il bilancio c’è un consenso emergente ma allo stesso tempo non dobbiamo sottostimare le differenze di visione sui diversi punti. E’ necessario continuare la discussione. Adesso passiamo ad una nuova fase di una nuova negoziazione e abbiamo l’intenzione di tenere un summit in presenza a metà luglio. Prima di questo summit metterò sul tavolo alcune proposte concrete per provare ad arrivare ad una decisione. Siamo consci che una decisione vada presa prima possibile».

E tra i temi caldi Michel chiarisce che si dovrà lavorare, tra gli altri, sulla «condizionalità degli aiuti, la dimensione finanziaria del piano per la ripresa e del bilancio Ue 2021-2021». In pratica quello che da tempo chiedono i Paesi del Nord e cioè che il Recovery Fund non preveda risorse date come concessioni ma sottoforma di prestiti, e quindi da ripagare a precise condizioni.

Conte stavolta conferma che per i fondi se ne parlerà nel 2021

Conte
Giuseppe Conte

Dal canto suo il premier Conte è apparso soddisfatto al termine del vertice, dicendo che «il pacchetto di aiuti Ue è collegato al quadro finanziario pluriennale. C’è però la possibilità per un anticipo, un ponte, è un modesto anticipo. Ci stiamo ancora lavorando, speriamo possa diventare più consistente». Insomma la richiesta dei Paesi del Nord Europa: niente anticipo e i soldi soltanto dal 2021 con il nuovo bilancio.

E fa quasi impressione ascoltare le parole di Conte, pacate e serene, considerando che soltanto qualche mese fa nel corso di uno dei suoi consueti ‘appelli alla Nazione’ aveva detto che i soldi sarebbero dovuti arrivare subito, entro l’estate e non nel 2021. Invece bisognerà aspettare. Un problema enorme per le imprese italiane che hanno impellente bisogno di liquidità e risorse.

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Nel merito, se Conte ammette che  «c’è ancora una differenza di posizioni, non siamo ancora univocamente orientati verso la soluzione finale», dall’altro parla di «passo avanti» e di un «giusto clima» confindando che «al prossimo Consiglio Ue, che sarà verso la metà di luglio potremo raggiungere la meta: un progetto di Recovery Fund, che adesso chiamiamo Next Generation e che si collegherà al Quadro finanziario pluriennale. Sarà un unico pacchetto, in modo che non ci saranno dei Paesi che hanno vinto e dei Paesi che hanno perso».

Meloni: da Ue arrivano soltanto brutte notizie per l’Italia

Giorgia Meloni

Parole che non vanno giù a Giorgia Meloni che replica duramente: «Davanti alle telecamere della ‘Villa dei famosi’ Conte sfoggia ottimismo e parla di un ‘clima convergente’ al Consiglio europeo ma dalla riunione di oggi dei Capi di Stato e di Governo della Ue arrivano solo brutte notizie per l’Italia». E conclude chiedendo che sul negoziato europeo «sia il Parlamento ad esprimersi con linee di indirizzo chiare e inequivocabili: Conte è scappato tante volte ma non potrà farlo all’infinito».

Già il voto in Aula. In due occasioni il presidente Conte è riuscito ad evitarlo ma è probabile che a metà luglio il governo dovrà passare per l’Aula. E sul tappeto c’è il Mes. Conte ribadisce: «Faremo di conto con il quadro di finanza pubblica, vedremo le nostre necessità, leggeremo i regolamenti, andremo in Parlamento, discuteremo».

E’ il M5S, invece, che guarda con grossa preoccupazione al Mes. Sul tema sono chiare le parole del capogruppo alla Camera dei Cinquestelle Francesco D’Uva: «Noi in ogni caso non vogliamo che il Paese vada incontro a condizionalità macroeconomiche. Trovo molto strano in questo momento concentrarsi ancora sul Mes e non parlare del Recovery Fund, su cui invece dobbiamo puntare». E proprio il Movimento rappresenta il punto debole in questa vicenda.

Una riunione dei senatori ieri all’ora di pranzo ha evidenziato qualche malessere anche se proprio il rischio di implosione ha portato il gruppo a compattarsi. Ma è certo che se arrivasse in Aula il tema del Mes sarebbe difficile tenere unita la maggioranza, e la disponibilità già dichiarata di Forza Italia a votare potrebbe essere il detonatore per far esplodere le contraddizioni della maggioranza rosso-gialla.

E la conferma arriva dal voto di fiducia di ieri sul dl Elezioni, ripetuto dopo l’annullamento di giovedì per mancanza del numero legale, dove la maggioranza si è fermata a 158 senatori cioè 3 in meno della maggioranza assoluta. Il che sta a dimostrare che la tenuta dei gruppi in Senato è diventata sempre più difficile e su un tema così divisivo come il Mes tutto può succedere.

Ma la strategia del rinvio non potrà durare all’infinito al punto che lo stesso capogruppo in Senato del Pd, Andrea Marcucci, avverte: «Governo e maggioranza si preparino ad un voto parlamentare sul pacchetto europeo comprensivo di tutti gli strumenti messi a disposizione da Bruxelles». Il che, appunto, non potrà non comprendere anche il Mes.

 

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