Università e Ricerca: l’Italia che vorremmo

Riccardo Fiscella - Università
Riccardo Fiscella

L’università e la ricerca, binomio inscindibile, dovrebbero rappresentare una ricchezza fondamentale per l’Italia. Ma per configurarsi come strumento davvero efficace di crescita e di promozione sociale e personale in un Paese che si dica avanzato, l’Università dovrebbe essere in grado di accogliere e recepire con coraggio l’istanza, da più parti avanzata, di rinnovarsi, col rendersi trasparente nella condotta e nei risultati, dimostrando con la forza dei fatti di saper progettare un futuro ambizioso.

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Le attuali difficoltà, dovute alla peculiare congiuntura economica, impongono certamente degli sforzi gravosi che, tuttavia, non possono essere elusi se si vuole realmente e convintamente migliorare un sistema che, accanto a residuali punti di forza innegabili, presenta oggi diversi aspetti di criticità. In questo momento è chiaro che la ‘crisi’, sempre e per qualunque contesto evocata, rende oltremodo irta di ostacoli la strada per garantire quelle risorse di cui il nostro sistema universitario necessiterebbe per riformarsi, ovvero per avviare quelle riforme coraggiose e profonde, che sappiano impostare su basi più adeguate lo sviluppo culturale del nostro Paese al fine di rafforzarne la competitività internazionale.

Gestione responsabile e sostenibilità economica per l’autonomia delle Università

Gestione responsabile e sostenibilità economica sono conditio sine qua non per poter garantire l’autonomia di cui le università dovrebbero fruire. Occorrerebbe anzitutto spendere bene ed in modo oculato le risorse, promuovendo una collaborazione virtuosa tra Ministero ed atenei, fondata su una limpida distinzione di compiti: il primo dovrebbe accreditare, valutare, incentivare e soprattutto garantire il rispetto degli standard qualitativi; i secondi dovrebbero assicurare parametri qualitativi ed economici concordati e verificati quali offerta formativa di qualità, ricerca di alto livello, gestione efficiente delle risorse, contributo efficace allo sviluppo culturale, economico e tecnologico del Paese.

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Autonomia e responsabilità, quindi, ma anche, soprattutto, il merito come criterio costante di scelta nell’investimento delle risorse, nella valutazione dei corsi e delle sedi, nella scelta e nella remunerazione dei docenti, nella promozione della ricerca.

Peccato che tali condizioni oggi non sussistano, causa soprattutto le scelte sconsiderate dei governi che, negli ultimi decenni, sulla ricerca e l’istruzione, anziché investire, hanno operato soltanto scellerati tagli, con la sottrazione di ben 1,5 mld di euro, in seguito legalizzati dalla legge 240 del 2010. Dirompenti le ripercussioni in termini di offerta formativa, nonché di indebolimento di quello che da sempre era stato il nostro vessillo, il settore della ricerca: la fuga dei cervelli ne è stata e continua ad essere la conseguenza più immediata.

Università italiane in notevole ritardo rispetto a quelle degli altri Paesi

Oggi, le nostre Università stanno perdendo terreno rispetto ad altri Paesi, ma in particolare la loro funzione pubblica e missione istituzionale risultano essere gli aspetti più seriamente compromessi. Le classifiche internazionali presentano anno dopo anno un quadro per noi sconfortante. L’Italia continua a conquistare risultati di rilievo solo limitatamente ad istituzioni e singoli dipartimenti di grande livello. Per il resto (per numero di ricercatori, dottorati di ricerca, numero di studenti immatricolati e laureati, erogazione di finanziamenti) si colloca ben al di sotto delle medie europee.

Atenei del Sud in coda alle classifiche nazionali della qualità

E, nello specifico, sono proprio le Università del Sud, e quelle siciliane nella fattispecie, ad occupare gli ultimi posti nella classifica nazionale relativa alla qualità degli atenei, secondo quanto certificato da Il Sole 24 Ore.

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E’ ormai l’agonia delle Università del Sud? I dati forniti dall’Anagrafe del MIUR, sembrerebbero certificarlo. Si parla di un pesantissimo calo delle immatricolazioni, dato questo che non va certamente disgiunto dalla crisi economica e dai suoi impatti sociali, che portano alla fuga di moltissimi giovani, ovvero ad un diffuso disincanto circa l’importanza della formazione e dell’istruzione quale opportunità di riscatto e promozione sociale. A fronte di tutto questo, nessun investimento, nessun incentivo e nessuna attenzione reale e concreta, ancora, da parte di un Governo nazionale che non rinuncia, invece, a schermarsi dietro ben evidenti, ormai, annunci e proclami che non hanno alcun reale fondamento, se non quello di una retorica ormai scontata ed obsoleta.

Un ritardo strumentale e programmato per favorire gli atenei del Centro-Nord

Eppure una seria ed attenta riflessione sul Mezzogiorno sarebbe il caso di avviarla: non si può procrastinarla ancora, soprattutto se si guarda al Sud con la lente di ingrandimento dell’Università.

Ciò che sembrerebbe emergere, come dato inconfutabile, è, al contrario, non tanto un disinteresse quanto, semmai, un abbandono scientemente programmato e pianificato, a vantaggio di alcune aree geografiche concentrate nel Centro-Nord che risulterebbero in linea con i parametri sulla base dei quali viene rilevata la qualità degli atenei. Parametri, si badi bene, non commisurati alla qualità della didattica e della ricerca, bensì al patrimonio finanziario che, come possiamo immaginare, si rimpingua con le entrate provenienti dai balzelli, sempre più alti ed insostenibili, richiesti agli studenti. Tutto questo in deroga al diritto allo studio, garantito e tutelato dalla nostra Costituzione, sacrificato sull’altare della logica neoliberista che guarda alle privatizzazioni e alle premialità delle cosiddette ‘eccellenze’.

Quanto è stato fin qui perpetrato contro la scuola pubblica, come si vede, in modo meno eclatante, ma senza dubbio non meno bieco e strisciante, lo si sta operando a danno e nocumento delle nostre Università e della nostra intellighenzia. Superfluo, ma forse no, ricordare e rimarcare i nostri massimi ingegni che da Gaetano Salvemini a Giovanni Gentile, per citarne solo alcuni, ma l’elenco sarebbe ben più lungo, avrebbero molto da insegnare oggi ad una classe politica asservita a ben altre logiche, totalmente avulse e scollate dai reali bisogni delle persone e dei territori del nostro ‘bel Paese’.

Ma in un Paese dove, colpa dell’ancestrale incuria e colpevole miopia dei Governi verso il Sud, i grandi scrittori meridionali del ‘900 scompaiono dai programmi ministeriali, in quanto la conoscenza di classici di tale calibro e forza espressiva non è più ritenuta «imprescindibile» dal Ministero per l’Istruzione, che cancella così nomi quali: Salvatore Quasimodo (Nobel nel ’59), Leonardo Sciascia, Alfonso Gatto, Ignazio Silone, Elio Vittorini, Domenico Rea, Anna Maria Ortese, Rocco Scotellaro, cosa potremmo aspettarci?

Riccardo Fiscella
Presidente Polo Universitario Nicosia

 

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