Diego Armando Maradona: di sinistra o populista?

Un anno senza Diego Armando Maradona

Tante le iniziative organizzate per ricordare Diego ad un anno dalla sua scomparsa, fiumi di parole e pubblicazioni per consacrare la sua grandezza come uomo di sport e, nella città degli eccessi, abbiamo addirittura installato due statue per celebrare l’eroe che veniva dal piccolo barrio di Villa Fiorita.

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La politica vive una crisi di idee e di simboli e per questo ogni tanto si ricercano nuove icone che, non importa cosa fanno o cosa dicono, devono avere almeno la caratteristica della popolarità. Vi starete chiedendo cosa c’entra Maradona, il grande genio del calcio, con la politica?

C’entra, almeno a sentire Santiago Zabala, professore spagnolo di filosofia e autore del libro “Fenomenologia di Maradona”, il quale, a Napoli per presentare la sua opera ha detto che il D10S «è un simbolo della sinistra, anche perché non è che ci siano ancora tanti simboli a sinistra». Insomma, da Marx a Maradona è un passo.

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Ma Diego Armando Maradona, qualunque sia l’analisi sociopolitica che si vuole fare per affermare la tesi dell’uomo di sinistra, verrà ricordato sempre e soprattutto perché fu nel campo che divenne esempio, insegnando cosa sia la lealtà sportiva, oltre al dato tecnico inarrivabile. Tutti sanno che nonostante fu massacrato di calci e gomitate in tutti gli stadi non polemizzò mai con gli avversari.

Fu il calcio, quindi, a dargli fama, soldi e notorietà, riuscì ad indicare la strada per il riscatto di Napoli rispetto a un Nord che spesso è troppo egoista e prevenuto nei confronti della nostra città ma anche del Sud in generale. Fece diventare il Napoli una squadra che vinceva senza perdere le caratteristiche tipiche dei napoletani di individualismo e genialità in alternativa al calcio di Sacchi che voleva giocatori automi ed intercambiabili inseriti all’interno di rigidi schemi che ne limitavano l’estro ed il talento. Due concezioni del calcio completamente in antitesi.

La grande sensibilità sociale di Diego Armando Maradona

Non c’è dubbio, però, che Maradona aveva una grande sensibilità sociale che lo portava spesso a esporsi in prima persona come quando partecipò alla marcia che Chavez aveva indetto contro Reagan. All’amicizia per Fidel Castro, aggiunse quella per Hugo Chávez, appunto, e per Evo Morales, fino all’ex presidente dell’Iran, Ahmadinedjad, negazionista dell’Olocausto.

A Napoli Diego Armando Maradona scoprì anche l’attrazione dei tifosi di calcio per i simboli della guerriglia latino-americana, anche se spogliati di ogni significato politico. È qui che scopre la figura del Che e durante un carnevale a Rio de Janeiro, si fa tatuare l’immagine del rivoluzionario argentino su un braccio e poi quella di Fidel su una gamba.

Diego è stato sempre contro i poteri forti, soprattutto nel calcio. A Napoli trovò la situazione ideale per sviluppare questa voglia di combattere le ingiustizie e di schierarsi sempre dalla parte dei più deboli. Fu un ribelle ed anche per questo era diverso da Pelè del quale soleva dire: «Un calciatore che ha vissuto pensando alla carriera politica. Uno schiavo che ha venduto il suo cuore alla FIFA».

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Usò anche il calcio come mezzo per riscattare un popolo come quando allo stadio Azteca di Città del Messico, mescolando truffa e genio, la «Mano de Dios» e «il gol del secolo», mise in ginocchio l’Inghilterra in soli quattro minuti a quattro anni dalla guerra delle Malvinas o Falkland, persa malamente dall’Argentina.

Basta questo per definire Maradona uomo di sinistra? A suo modo fu certamente un ribelle, non ebbe mai una vera e propria coscienza politica ma era un sognatore, uno che a modo suo bramava la giustizia sociale ma non fu mai nell’animo un uomo di sinistra né ebbe mai una idea precisa del socialismo nonostante le sue simpatie per Fidel e gli altri leader della sinistra sudamericana.

Diego Armando Maradona cresciuto in una società permeata dal peronismo

Più realisticamente fu un personaggio cresciuto in una società, quella argentina, permeata dal peronismo, movimento politico argentino, creato da Juan Domingo Perón durante la sua prima presidenza della Repubblica argentina. Un movimento a carattere sociale, popolare e patriottico proiettato verso una giustizia sociale e un’indipendenza economica per l’Argentina dell’epoca. Oggi, forse, potremmo definirlo un movimento sovranista o populista.

Peron ebbe nei «descamisados» i suoi miliziani e nella figura della moglie, Evita Duarte Perón, il profeta ed il simbolo della speranza delle masse per il riscatto dei lavoratori, dei poveri a cui dedicò gran parte della sua opera, e in modo particolare delle donne, per le quali lottò e ottenne il diritto di voto.

Il peronismo, nonostante ebbe in politica sorti alterne, è sempre presente, anche oggi, in tutti gli argentini ed anche Diego, a sua insaputa, si è formato nel paese dei descamisados, di quelli che vogliono uno Stato che si occupi anche di coloro che sono indietro.

C’è da dire, inoltre, che la sinistra, specie guardando a ciò che accade in Italia, piuttosto che stare dalla parte del popolo è da tempo schierata dalla parte dei più forti, della troika, delle banche, dei filantropi alla Soros e delle élite in genere.

Tornando a Diego, egli fu grande soprattutto perché portò al vertice del calcio nazionale ed europeo una squadra che senza di lui avrebbe faticato perfino a restare nella massima serie. Io preferisco ricordarlo così piuttosto che pensare a colui che poi entrerà e uscirà da cliniche di disintossicazione, che ingrassò a dismisura, che disse e fece cose sconclusionate o, addirittura, vederlo arruolato forzatamente nel pantheon della sinistra.

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