Elezioni ci siamo. Governo e maggioranza trattengono il respiro sperando di non essere travolti dal voto

Poco meno di 24 ore e sarà calato il sipario sulla campagna elettorale delle regionali 2020 e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Le prime elezioni post Covid e che proprio il virus ha relegato a ridosso dell’estate, costringendo tutti a contendersi voti sotto l’ombrellone.

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Ma soprattutto saranno elezioni che in un modo o in un altro condizioneranno il cammino del governo stesso e delineeranno nuovi rapporti di forza tra i partiti. E chissà che la foto opportunity del governo non diventi di colpo datata, in bianco e nero, ricordo di una stagione passata.

Elezioni a cui guardano con attenzione il Centrodestra, che ha avuto la capacità di presentarsi unito dovunque, il Pd, che invece avrebbe voluto affrontarle in alleanza con i Cinquestelle replicando la maggioranza di governo, e infine il M5S. E ognuno da queste elezioni ha qualcosa da chiedere per capire quale sarà il futuro.

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Il Centrodestra chiuderà la campagna elettorale in Toscana e precisamente a Firenze. Una scelta su cui nessuno all’inizio avrebbe scommesso e che invece nel corso di questo mese e mezzo è maturata dopo che è sembrato sempre più chiaro che la Regione è contendibile. Infatti, mai come in altre occasioni l’esito del voto è incerto e per la prima volta la Toscana potrebbe avere un governo regionale di Centrodestra.

Una possibilità frutto della debolezza di Giani, candidato presidente imposto da Renzi, che alla lunga sta dimostrando tutti i suoi limiti di tenuta. Ma a sorprendere è stata la strategia di Matteo Salvini che, memore della batosta emiliana dove proprio la sua eccessiva sovraesposizione penalizzato il candidato, è rimasto defilato.

Salvini: «In queste elezioni si vota per la Toscana e non per il governo nazionale»

Matteo Salvini a Napoli
Matteo Salvini

«Si vota per la Toscana e non per il governo nazionale». Salvini lo ha ripetuto come un mantra per tutta la campagna elettorale proprio per impedire la mobilitazione contro di lui, lasciando che il boccino rimanesse nelle mani della sua candidata, Susanna Ceccardi. Vedremo lunedì sera se questa scelta alla fine ha pagato ma senza dubbio se oggi il voto sembra essere in bilico si deve anche a questa scelta.

Giorgia Meloni

Meloni: «Non immagino che il giorno dopo le elezioni, anche con una vittoria schiacciante del centrodestra, il premier Conte vada al Quirinale a rassegnare le dimissioni»

Dall’altro lato c’è Giorgia Meloni che invece senza remore ha parlato di voto con riflessi nazionali, anche se non si fa dubbi sulle conseguenze: «Non immagino che il giorno dopo le elezioni, anche con una vittoria schiacciante del centrodestra, il premier Conte vada al Quirinale a rassegnare le dimissioni, perché conosco queste persone. Ma l’istituto dello scioglimento della Camera esiste proprio in caso di una distanza tra maggioranza parlamentare e situazione del Paese. Non immagino dimissioni di Conte, ma penso che una riflessione del presidente della Repubblica dovrebbe esserci».

Dubbi legittimi visto che il premier Giuseppe Conte in tutto questo periodo ha evitato di metterci la faccia per il timore di rimanere travolto dal risultato delle elezioni. Lo sguardo, quindi, è rivolto al Recovery Plan su cui, ha spiegato Conte nei giorni scorsi, gli italiani potranno mandare a casa questo governo. La stessa decisione di presentare le linee guida in questa ultima settimana di campagna elettorale è stato per ribadire in maniera chiara che il governo è su un altro piano, che non riguarda assolutamente quelle delle elezioni regionali.

Ma sarà davvero così? Potranno il governo e la maggioranza far finta di nulla, anche se dalle urne dovesse maturare una sconfitta pesante? 5 a 1 è lo spettro che aleggia e che inquieta tutti nel Centrosinistra. E se a questo dovesse unirsi un’imprevista e inattesa vittoria del No al referendum, come potrebbe il governo andare avanti rivendicando l’obbligo di portare avanti il Recovery Plan?

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Più di qualcuno, infatti, nella maggioranza inizia a dubitare sulla legittimità di continuare come se nulla fosse visto che il voto indicherebbe che ormai le forze che sostengono il governo sono ampiamente minoranza del Paese. Come potrebbero arrogarsi il diritto di operare scelte strategiche per il futuro dell’Italia?

Zingaretti: «Lo ripeto, a queste elezioni era meglio se lasinistra correva unita»

Michele Emiliano e Nicola Zingaretti

Ecco, su questi dubbi si infrange il piano che Conte sta disperatamente cercando di portare avanti. Lo sa bene il Pd che con Nicola Zingaretti fino all’ultimo continua a recriminare sul mancato accordo tra le forze di maggioranza ed invitando per i voto disgiunto: «Lo dico da un anno che era meglio se la sinistra correva unita: quello è un obiettivo politico. Questa unità, domenica e lunedì la si può costruire nell’urna a sostegno dei candidati che possono vincere, perché a questo punto si può dire che chi non sostiene Giani di fatto favorisce l’elezione e la vittoria della destra di Meloni e di Salvini, che non c’entrano niente con la Toscana e con la storia di questa terra meravigliosa».

Stesso discorso in Puglia dove il Pd chiede e spera nel voto disgiunto per bloccare la corsa di Raffaele Fitto. Non solo voto disgiunto per vincere ma anche promesse e rinnovi di contratti nell’imminenza delle elezioni, come ha fatto lo stesso Michele Emiliano che qualche giorno fa ha presenziato in un teatro alla cerimonia della firma di un centinaio di contratti a tempo indeterminato per una società privata partecipata dalla Regione. Cosa non si fa per farsi eleggere.

Intanto, però, a chiudere la campagna elettorale in Puglia sarà Alessandro Di Battista. Il pasionario a cinquestelle che è stato zitto tutto il periodo delle elezioni, che guarda ai prossimi Stati Generali per prendersi il Movimento e che non ha mai fatto mistero di voler tornare al M5S delle origini, duro e puro che non fa alleanze con nessuno. Non proprio il massimo per il voto disgiunto.

Ma il Pd ci spera perché se il 5 a 1, 6 se dovessimo mettere nel conto anche la Valle d’Aosta, dovesse materializzarsi il rischio della fine della segreteria di Zingaretti sarebbe più che un’eventualità. In questo caso nemmeno il governo sarebbe al riparo. Ed il rimpasto, a cui molti guardano come la soluzione di tutti i mali, servirebbe a ben poco. Anzi risulterebbe come l’ennesimo espediente per rimanere incollati alle poltrone.

Infine, ci sono i Cinquestelle sempre più divisi e dilaniati e proiettati agli Stati generali da cui dovrebbe emergere la nuova leadership. Leader che proprio in queste elezioni è mancato, sia prima in fase di trattative e sia dopo nel corso della campagna elettorale. Troppo debole e burocratico Vito Crimi il quale non è riuscito a replicare l’alleanza di governo anche a livello regionale. A sua volta Luigi Di Maio è stato attento a non sporcarsi con queste elezioni, puntando tutto sul referendum per riprendersi la guida del Movimento.

Ora, da domani fino a lunedì alle 15 prevarrà, finalmente, il silenzio delle forze politiche e parleranno i cittadini con il loro voto. A loro spetterà, come è giusto che sia, decidere i nuovi equilibri politici e su questi si determinerà il futuro di governo, maggioranza ed opposizione.

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