«Un bel tacer non fu mai scritto», diceva il veneziano Giacomo Badoar nel 1600. E non si può che dargli ragione. Soprattutto se chi parla, in verità, straparla, ai limiti dell’istigazione all’odio – mentre sarebbe meglio che tacesse. Ancora di più in un momento di difficoltà, quale quello che stiamo attraversando, sia sotto il profilo socio-ecomomico, delle libertà personali. In conseguenza del Coronavirus e a causa degli errori del governo giallorotto che ormai da sei mesi – e pensa di poterlo fare per almeno altrettanto – ha sospeso la democrazia e calpestando la Costituzione.
Prima fu: «Il Sud ora aspetti, il Nord deve ripartire subito». Sostenuto con un’improntitudine ed una solennità degne di miglior causa nientepopodimenoche da Stefano Bonaccini, il democraticissimo e solidarissimo governatore dell’Emilia Romagna. Poi, è stato il turno del primo cittadino del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, altro emerito sostenitore e difensore dell’Italia unità, per il quale occorre dire no «a stipendi uguali per Nord e Sud».
In pratica, per dirla con il «sim sala bim» meneghino – per salvare l’Italia, anzi no il Nord, meglio la Lombardia – è indispensabile tornare indietro nel tempo, fino alle ‘gabbie salariali’ al 1946 ovvero 74 anni addietro. A quando cioè i lavoratori residenti al di sotto del Garigliano erano considerati lavoratori di serie B, e retribuiti, pur a parità di mansioni, con stipendi inferiori di quasi il 30% rispetto a quelli elargiti ai colleghi del Centro-Nord.
Affermazioni peggio delle quali, c’è solo il silenzio obiettivamente inquietante con cui, gli organi d’informazione, cartacei ed ‘eterei’, le hanno circondate, provando a nasconderle. Soprattutto se si prova a pensare a quanta cagnara, queste stesse affermazioni, avrebbero suscitato se pronunciate da qualche esponente leghista. Salvini o Borghi o Giorgietti e riportate da qualcuno di quei giornalacci nordisti, «sempre pronto a dare addosso al Mezzogiorno» ad ogni piè sospinto e ad ogni minima occasione.
Quale che fosse stato, non avrebbe cambiato alcunché, sarebbe comunque tornato utile per lanciare addosso a chi l’avesse pronunciata e rilanciata, il «dagli all’untore» anti meridionale. Del resto, non ci vuole neanche molto ad immaginarlo, visto che – da sempre – di esempi di comportamenti strumentali per guadagnarsi il consenso dei meridionali, lorsignori della sinistra elitaria e governativa, ne stanno dando a bizzeffe. Per carità, che certe frasi lo dica un leghista o le sostenga un compagno giallorotto o un esponente di qualsivoglia partito o schieramento politico, ci troverà sempre dall’altra parte. Il Sud, cari signori con la puzza sotto al naso, merita rispetto. Ancor più da voi, che senza di lui, non sareste andati da nessuna parte.
Ed il peggio è che, probabilmente, da qui, a qualche settimana, il favoliere delle Puglie, ci farà sapere che bisogna bloccare il voto di settembre, per il rinnovo di governatori e consigli regionali. In teoria per bloccare la pandemia, in realtà per non correre il rischio di andarsene a casa anzitempo e «motu populi». Sanno benissimo che di fronte all’ennesima sconfitta elettorale – e le condizioni perché questo succeda ci sono tutte (vedi i sondaggi) – il silente “uomo del colle” con oltre il settanta per cento (già oggi sono il 65) delle ragioni schierate con il centrodestra, non potrebbe più girarsi dall’altra parte.
E continuare a nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere che gli italiani, e non solo quelli meridionali, sono stufi di questa situazione. Ma anche di un ducetto vanaglorioso e pieno di sé che – blindandoli in casa, per barricarsi a palazzo Chigi e governando con dpcm e decisioni autonome, cts e consulenti vari – li sta riducendo alla fame e che il Mezzogiorno è stanco delle istigazioni all’odio di Sala «gabbie salariali» di Bonaccini «Prima il Nord». E anche di un governo come quello ‘giallorotto’, assolutamente inutile ed inadeguato. Perché incapace e incompetente.
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