Ettore Fieramosca, uomo del Sud, tra vittorie, sconfitte e un grande trionfo: la disfida di Barletta

Parlando di Enea e del grido «Italia, Italia» dei Troiani arrivati a Castro, della nascita del nome ‘Italia’, della ‘Lega Italica’ abbiamo, brevemente, affrontato il legame mitico, letterario e storico-geografico che lega il Sud al resto della penisola.

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I grandi temi e le grandi storie sono fondamentali nel creare un’identità condivisa ma non bastano. Ci vuole altro. Ci vogliono i miti popolari, le canzoni, i personaggi. Gli esempi. Oggi allora vi racconto di un personaggio minore. Uno di quelli che non c’entrano nulla con la Storia dei Grandi ma che, lo stesso, tutti abbiamo sentito nominare.

Ettore Fieramosca è nato a Capua nel 1476. Nobile, istruito e poi avviato a una carriera militare e a una vita segnata da battaglie, vittorie e sconfitte e a quel senso di cameratismo che lega i soldati che condividono il pericolo e il sangue versato. Già a 17 anni aveva ottenuto il comando di una compagnia di balestrieri a cavallo al servizio di Ferdinando II d’Aragona poi si distingue per valore passando da una battaglia all’altra ma, dopo la sconfitta di Federico I d’Aragona, perde i titoli nobiliari e segue il Re nell’esilio dorato in Francia.

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Ma è tornato in Italia che diviene leggenda
1502: è in Puglia con Prospero Colonna, uno dei più importanti condottieri della storia d’Italia. Compiono piccole incursioni per conto della Spagna, ma poi un giorno l’immortalità bussa alla porta e Fieramosca, consapevolmente o meno, apre la porta.

In una scaramuccia, o imboscata, catturano il cavaliere francese Charles de Torgues, detto La Motte. Questi ad alta voce e in pubblico afferma che i cavalieri italiani siano dei vigliacchi. Gli italiani sono senza onore. Per Ettore Fieramosca è troppo. Si possono perdere i titoli nobiliari, i terreni e forse anche il futuro ma l’onore no. Quello va difeso.

Ma è interessante notare come La Motte si riferisca proprio agli italiani in quanto tali e che l’onore sia quello degli abitanti di tutta la penisola.

E così il 13 febbraio 1503 c’è la ‘Disfida di Barletta’. Gli italiani sono divisi in regni, hanno padroni diversi, generalmente stranieri, e troppo spesso combattono fra loro – non è che poi sia cambiato così tanto – eppure quel giorno i 13 cavalieri italiani sconfiggono, e umiliano, i 13 cavalieri francesi.

“Ettore Fieramosca e la Disfida di Barletta” entrano nel mito. «Non sarà mai ch’io voglia insultare alla mala fortuna d’uomini valorosi: l’arme son giornaliere, e chi è vinto oggi può vincer domani. Non vi dirò di rispettar d’or innanzi il valore italiano: dopo simili fatti le mie parole sarebbero superflue». Così lo fa parlare Massimo D’Azeglio, uno dei padri della nostra Italia, nel suo “Ettore Fieramosca, o la Disfida di Barletta” (1833). Un libro che ottenne uno straordinario successo.

Ma la leggenda di Fieramosca entra definitivamente  nell’immaginario popolare con la nascita del cinema. Un primo film è del 1915 ma è nel 1938, grazie alla regia di Alessandro Blasetti e alla straordinaria interpretazione di Gino Cervi, che il difensore dell’onore italiano diventa un eroe popolare. Tralasciando i commenti della critica, abbastanza divisa sul risultato, il pubblico affollò i cinema rendendo “Ettore Fieramosca” uno dei 10 film più visti negli anni del fascismo.

Ovviamente oggi potrebbe essere considerato un po’ pomposo e lento eppure alcune scene sono entrate nel la storia del cinema grazie al linguaggio poetico, alla regia che sembra disegnare quadri e al talento di Gino Cervi – che, curiosamente, vi racconterò domenica 24 maggio per un’altra sua straordinaria, e decisamente più famosa, interpretazione.

Il film si conclude con la vittoria italiana ma prima c’è uno scambio di battute indimenticabile e che trasformò, ancora di più, Ettore Fieramosca in un eroe popolare: i 13 cavalieri italiani si presentano sul campo con delle bande nere. Alla domanda sul perché di questa scelta Fieramosca risponde: «in lutto per i nostri compagni caduti e del nostro popolo ancora diviso« richiamando, ovviamente, le parole di Goffredo Mameli «Siamo da sempre calpesti e derisi / perché non siam popolo / perché perché siam divisi».

Infine nel 1976 Pasquale Festa Campanile riadatta la vicenda in chiave farsesca nel film “Il soldato di ventura” facendo interpretare Fieramosca da Bud Spencer. Il film è un altro successo tanto da essere distribuito in quasi tutta Europa  e in nazioni inaspettate come le Filippine e la Colombia.

Certamente è meno “eroico” degli altri eppure il mito del mercenario, ex nobile, ne viene arricchito e Fieramosca continua a rappresentare un paladino dell’italianità anche grazie alla canzone dei Fratelli Guido e Maurizio De Angelis che conclude il film: «L’Italia non c’è. Chissà chissà, fra due o tre secoli forse ci sarà».

Forse le parole sono ancora attuali, e in fin dei conti fu D’Azeglio stesso a dire «fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani», eppure Fieramosca da Capua e la disfida da lui vinta rimangono un mito popolare e un esempio ed è anche su questo che si costruisce l’identità.

*Emanuele Merlino, divulgatore storico, scrittore e autore teatrale. Il suo fumetto “Foiba Rossa”, di cui è ideatore e sceneggiatore, è ausilio didattico per la Regione Veneto. Consulente al Senato e per Rai Storia. Il suo lavoro sulla Grande Guerra è Patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ presidente del Comitato 10 Febbraio

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