Sinistra: dal sogno delle amministrative al risveglio del referendum
Una banda di scappati di casa contro il governo dei record, di cui mette in discussione ogni risultato, e la premier Meloni, cui il magazine del francese «Le Figaro», ha dedicato 4 pagine e definita «figura centrale della politica Ue».
Poi non sapendo perdere, volendo governare a ogni costo, anche senza il consenso degli italiani, a ogni sconfitta propone un cambio di regole e (vedi commenti post referendum) dà i numeri.
Schlein festeggia in nome del teorema Boccia, che non è quello di Pitagora, ma le consente di vaneggiare di «risultato storico» e sostenere di aver vinto, perché al referendum hanno votato 14 milioni d’italiani, molto al di sotto del quorum, (solo 1/3 dei 41 mln di aventi diritto), ma pari, a loro dire, a quanti nel 2022 permisero a Meloni di conquistare palazzo Chigi.
E alla stessa tesi si è aggrappato il duo «Gianni e Pinotto» (Bonelli e Fratoianni) di Avs per il quale «14 milioni di voti sono cuore dell’alternativa a Meloni». Poi, tutti e tre, fingono di non sapere che di questi, 14 mln, mediamente, 2 mln a quesito, hanno votato «no», senza seguire le loro indicazioni.
Per cui quelli a loro favore sono stati, in realtà, soltanto 12 mln, mentre ai 2 mln di «no» vanno aggiunti i 32 mln di astenuti – costituzionalmente ed elettoralmente, hanno lo stesso valore – per un totale di 34 mln di «no» contro i solo 12 mln per il «sì», dell’opposizione. Ebbene, perché questi ultimi, dovrebbero valere di più dei primi? Forse perché ormai lorsignori si sono abituati a governare a dispetto del consenso degli italiani?
Senza dire, poi, che al quesito più significativo dei 5 in discussione: la riduzione degli anni di permanenza in Italia per la concessione della cittadinanza agli immigrati, ben 4.7 mln hanno votato «no». Se ne ricava così che le distanze tra sinistra e cittadini si sono ulteriormente allungate, anziché accorciarsi.
Il sogno del Pd? Finito dopo un pisolino
La verità, quindi, è che se «i sogni muoiono all’alba», quello del recupero del Pd – annunciato da Elly, Boccia e compagni all’indomani delle amministrative di fine maggio – è «finito» dopo un tragico riposino pomeridiano, quindici giorni dopo, decapitato dal voto referendario su Jobs Act e immigrati.
Gli sconfitti hanno provato a nasconderlo, se non addirittura a festeggiarlo, fingendo come niente fosse stato, ma più che un risveglio deve essere stato un incubo che ha trasformato il risultato del voto «Da avviso di sfratto per il governo (come sognava la Elly) a debacle per la sinistra», come ha sottolineato, a scrutinio finito, la senatrice di «Noi moderati» ex FI e Pdl, Gelmini.
Certo, Meloni, Tajani, Salvini, Lupi e il centrodestra, quindi, hanno tutto il diritto di festeggiare, ma attenzione a non perdere di vista, che – come quello delle ultime amministrative – anche questo referendario è perfettamente nella norma. Si tratta, infatti, dell’undicesima consultazione abrogativa di norme costituzionali degli ultimi trent’anni di cui solo 2 (1997 riforma del sistema elettorale e 2000 divieto di costruire in zone marine protette) hanno ottenuto il quorum del 50%+1.
Quindi anche qui, niente di nuovo sotto il sole, a livello politico centrale. Ma – e anche questo è giusto sottolinearlo – per qualcuno all’interno del centrosinistra, dopo questo flop il futuro non si presenta particolarmente roseo. Anzi!
Opposizione divisa e sinistra allo sbando
L’aver scelto – pur senza dirlo apertamente, perché se l’obiettivo era unico, la strategia era «trina» – di fare di questo appuntamento una sorta di «primarie» per la scelta del futuro capo dell’opposizione fra Landini, Schlein e Conte ha complicato i loro rapporti personali, ma anche quelli fra Cgil, Pd e M5s, e – soprattutto per quanto riguarda i primi due – fra loro e i propri «seguaci».

Tant’è che se, nel Pd sono già cominciati il processo a Schlein e la rivolta di riformisti e moderati; i lavoratori hanno mandato un bel «vaffa…» a Landini che sembra, però, non avere alcuna intenzione di assecondarli e mantenere, a loro disdoro, la guida della Cgil, il cui fondatore Di Vittorio si starà rivoltando nella tomba per la «partiticizzazione» del sindacato effettuata dal suo ultimo erede; e anche Conte ha i suoi problemi, visto che deve vedersela con Grillo che vuol riprendersi il movimento per via giudiziaria e i grillini fuoriusciti che sognano di rientrare.
Ma qualche problema ce l’hanno anche: la chiesa, soprattutto la Cei di Zuppi che mostra di non aver saputo del «no» dei cittadini (anche quelli cattolici) ai migranti e prosegue la propria strategia immigrazionista, nonché i giudici che – dopo la scivolata politica della discesa in campo pro referendum – dovranno cercare di recuperare agli occhi degli italiani come di Mattarella, che gliele ricorda, terzietà e imparzialità «sacrificate» al gioco cigiellino.
Ma non sarà facile per nessuno. Tanto più per la sinistra che, persi i voti italici, sognava di sostituirli con quelli degli immigrati. Ma gli italiani. Ancora una volta, hanno risposto picche. Come dargli torto, se a ogni invito ad integrarsi, gli islamici ribattono: «con la vostra democrazia vi invaderemo, con la nostra religione vi domineremo»?