Uno scrigno di tesori: dalla Pudicizia, alle Macchine Anatomiche, fino al Cristo Velato
Cappella Sansevero, oggi sconsacrata, è anche chiamata Chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella. Si trova nei pressi di Piazza San Domenica Maggiore, ben collegata al palazzo dei principi di Sansevero che permetteva loro di accedervi privatamente. Costruita nel 1590, su richiesta di Giovanni Francesco di Sangro, la Cappella fu inizialmente pensata come un luogo di sepoltura privato per la nobile famiglia dei di Sangro. Tuttavia, è sotto la direzione del settimo principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, nel XVIII secolo, che la cappella raggiunse il suo massimo splendore.
Indice Articolo
- Origini e leggende
- La vera storia della Cappella Sansevero, l’omicidio di Maria d’Avalos e del suo amante
- Il nuovo assetto di Cappella Sansevero
- L’architettura
- Il crollo del ponte
- Il Cristo Velato
- La Cappella Sansevero e le statue
- La Pudicizia
- Il Disinganno
- Le Macchine Anatomiche
- Raimondo di Sangro e le scienze esoteriche
- La morte di Raimondo di Sangro
Essa non è nota solo per la sua particolarità e bellezza ma anche perché ospita capolavori come: la «Pudicizia», il «Disinganno» e la meravigliosa opera, nota in tutto il mondo «il Cristo Velato». Al suo interno possiamo anche trovare le «macchine anatomiche» due corpi totalmente scarnificati dove è possibile osservare, in modo accurato, l’intero sistema circolatorio.
Origini e leggende
Le origini della struttura sono raccontate in «Napoli Sacra» 1623 di Cesare d’Engenio Caracciolo. La leggenda narra che, intorno al 1590, un uomo innocente, in catene condotto in carcere, passando dinanzi al giardino del palazzo dei di Sangro, vide crollare una parte del muro di cinta e apparire un’immagine della Madonna. Egli promise alla Vergine di donarle una lampada d’argento e un’iscrizione, qualora fosse stata riconosciuta la propria innocenza: scarcerato, l’uomo tenne fede al voto. L’immagine sacra divenne allora meta di pellegrinaggio, dispensando molte altre grazie.
Successivamente, anche il duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro, gravemente ammalato, si rivolse alla Madonna affinché guarisse e dopo aver visto esaudire il miracolo, per gratitudine fece innalzare, lì dove era apparsa per la prima volta l’effigie, sull’Altare maggiore, una cappella denominata Santa Maria della Pietà o Pietatella. Fu però il figlio di quest’ultimo, Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria, che intraprese nei primi anni del ’600 lavori di trasformazione e ampliamento, modificando l’originario sacello in un vero e proprio tempio votivo destinato a ospitare le sepolture degli antenati e dei futuri membri della famiglia.
La vera storia della Cappella Sansevero, l’omicidio di Maria d’Avalos e del suo amante
Secondo recenti studi però, la vera origine della Cappella Sansevero risalirebbe all’omicidio, compiuto nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, di Maria d’Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e del suo amante Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina, seconda moglie di Giovan Francesco di Sangro. Di seguito a questo evento luttuoso, la madre di Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella, pensandola come voto alla Vergine per la salvezza eterna dell’anima del figlio. A dar prova di questa ipotesi, l’iscrizione in latino «Mater Pietatis», presente sulla volta della Pietatella e contenuta in un sole raggiante che rappresenterebbe il voto di dedica dell’edificio alla Madonna.
Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i lavori edili per la costruzione della chiesetta gentilizia iniziarono nel 1593, come si deduce da alcune polizze in possesso del Banco di Napoli. Già venti anni più tardi Alessandro di Sansevero decise di ampliare la preesistente costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l’ingresso principale dell’edificio.
«Alexander De Sangro Patriarcha Alexandriae
Templvm Hoc A Fundamentis Extrvctvm Beatae Virgini
Sibi Ac Svis Sepvlcrvm Anno Domini MDCXIII»
«Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore MDCXIII [1613]»
Del ‘600 sono rimaste inalterate solo le dimensioni perimetrali e la snella architettura dell’insieme e la decorazione policroma dell’abside; sono ancora visibili, inoltre, quattro mausolei nelle cappellette laterali, mentre altri di cui si ha notizia sono stati rimossi.
Il nuovo assetto di Cappella Sansevero
L’attuale assetto della Cappella Sansevero e la quasi totalità delle opere in essa contenute, infatti, sono frutto della volontà di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che a partire dagli anni ’40 del ’700 riorganizzò la Cappella secondo criteri del tutto nuovi e personali.
Egli chiamò i migliori pittori e scultori sovrintendendo personalmente alle fasi di lavorazione, scegliendo e talvolta realizzando i materiali. L’idea era quella di realizzare un tempio degno del casato, arricchendolo di opere di altissimo pregio pur senza alterare la primitiva struttura. Fu così che vennero alla luce la Gloria del Paradiso, la Pudicizia e le altre statue delle Virtù, il Cristo velato. Il principe mantenne a grandi linee la semplice struttura architettonica della fase seicentesca.
L’architettura
La Cappella Sansevero presenta un’unica navata a pianta longitudinale con quattro archi a tutto sesto per lato; il cornicione, costruito con un mastice di invenzione del di Sangro, corre lungo tutto il perimetro al di sopra degli archi. La volta a botte è interrotta da sei finestre strombate che illuminano l’intero edificio; all’altezza dell’abside, poi, si può ammirare il gioco illusionistico di una finta cupoletta.
Nel 1901 fu completata la pavimentazione in cotto napoletano, smaltato in giallo e azzurro, colori del casato di Sangro, con l’enigmatico motivo a labirinto. Si accede sulla sinistra a una scala che conduce alla Cavea sotterranea, che il principe ideò ma non fece in tempo a vedere terminata.
Infine, sulla porta laterale, risalente al periodo settecentesco, si può leggere la seguente iscrizione: «Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati».
Il crollo del ponte
La notte tra il 22 e il 23 settembre 1889, a causa di un’infiltrazione d’acqua, crollò il ponte che collegava il mausoleo dei Sansevero con il vicino palazzo di famiglia. A causa di quest’evento, oltre al camminamento andarono persi gli affreschi sotto il gariglione e il disegno labirintico del pavimento della cappella. Il labirinto rappresentava il percorso che l’iniziato doveva compiere per raggiungere la conoscenza.
I restauratori si trovarono nell’impossibilità di ripristinare la pavimentazione originale, seriamente danneggiata, e nel 1901 optarono per ripavimentare la cappella in cotto napoletano, mentre lo stemma dei di Sangro al centro del pavimento fu realizzato con smalti giallo e azzurro che riprendono i colori del casato. In seguito alla sua trasformazione in polo museale nell’Ottocento la Cappella Sansevero, oltre ad accogliere quotidianamente un consistente numero di turisti, cominciò a essere anche utilizzata come spazio per eventi e concerti.
Il Cristo Velato
Fu proprio in questo luogo che nacque uno dei maggiori capolavori scultorei mondiali, il «Cristo Velato» ad opera di Giuseppe Sanmartino. L’opera rappresenta il Cristo morto, a grandezza naturale, sdraiato su un materasso di marmo, ricoperto da un velo realizzato dallo stesso blocco della statua, che copre il corpo senza però celarlo. La maestria dello scultore sta proprio nella realizzazione del velo che lascia intravedere i segni del martirio subito, esaltandone il dolore e la sofferenza.
Questa magistrale resa del velo, tale da sembrare reale, ha alimentato la leggenda secondo cui esso fosse un vero velo di tessuto marmorizzato in seguito ad un procedimento alchemico, grazie alle conoscenze magiche del principe di Sansevero. Si dice anche che Raimondo di Sangro accecò Sanmartino per evitare che riproducesse per altri opere di tale grandezza. Ovviamente si tratta solo di leggende popolari, tra le tante che ruotano intorno alla particolare figura del principe di Sansevero.
La Cappella Sansevero e le statue
Raimondo di Sangro progettò la Cappella Sansevero seguendo un preciso progetto iconografico, che per la sua complessità non si presta comunque a un’interpretazione chiara ed univoca. Ma possiamo sicuramente affermare che vi sono numerosi elementi decorativi che richiamano al culto massonico e all’esoterismo.
Le dieci statue raffiguranti le Virtù indicano il cammino spirituale che ogni uomo deve fare per raggiungere la comprensione e il perfezionamento di sè. Esse, intervallate ai monumenti funebri e celebrativi dei componenti della famiglia, sono dedicate alle mogli dei principi di Sansevero, ad eccezione delle due opere scultoree più importanti e significative della cappella insieme al Cristo Velato: la Pudicizia e il Disinganno.
La Pudicizia
La Pudicizia, opera di Antonio Corradini e probabilmente ne rappresenta il suo capolavoro. Tuttavia egli morì lo stesso anno della sua realizzazione, nel 1752, come testimoniato sulla lapide. Sarebbe dovuto essere anche l’autore del Cristo Velato, ma il lavoro passò a Sanmartino in seguito alla sua morte. È dedicata alla madre del principe, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, che morì quando Raimondo non aveva compiuto nemmeno il primo anno di vita.
La statua rappresenta una donna completamente coperta da un velo semitrasparente, cinta in vita da una ghirlanda di rose e che mantiene con il braccio sinistro una lapide spezzata. Elementi, insieme all’albero della vita posto ai piedi della statua, che simboleggiano la morte prematura della principessa.
Il Disinganno
Il Disinganno invece dedicato al padre, Antonio di Sangro. Egli, in seguito alla morte della moglie, condusse una vita disordinata e dedita ai vizi, viaggiando per tutta l’Europa e lasciando il figlio Raimondo al nonno paterno. Divenuto anziano, tornò però a Napoli, pentito dei peccati commessi e dedicandosi ad una vita sacerdotale.
La scultura ritrae un uomo che si libera da una rete, che rappresenta il peccato. Viene aiutato da un putto, simbolo dell’intelletto umano, che indica il globo terrestre, simbolo della mondanità. La bibbia poggiata ai piedi del globo è l’elemento con cui ci si libera dal peccato, ovvero la fede. L’elemento che lascia sbalorditi è proprio la rete, che lo scultore Francesco Queirolo ha realizzato con un virtuosismo impeccabile. Sul basamento del pilastro, l’episodio biblico di Gesù che dona la vista al cieco, probabile riferimento alla massoneria, in cui durante l’iniziazione gli aspiranti erano bendati per poi aprire gli occhi e comprendere la verità.
Le Macchine Anatomiche
Un altro tra i maggiori punti d’interesse della Cappella Sansevero e tra i più curiosi esperimenti del principe di Sansevero, è rappresentato dalle Macchine Anatomiche, ovvero due scheletri, di un uomo e di una donna, completamente scarnificati e di cui è riprodotto nei minimi particolari tutto il sistema circolatorio. Posti all’interno di teche di vetro nella cavea sotterranea della cappella, furono realizzati dal medico palermitano Giuseppe Salerno.
Gli scheletri sono reali. Pare che la donna fosse deceduta durante il travaglio, a conferma di ciò era esposto ai suoi piedi un feto con i resti della placenta e del cordone ombelicale che però fu trafugato negli anni ‘90. L’apparato circolatorio, invece, ha destato parecchie dicerie in quanto la precisione della sua realizzazione stona con le conoscenze che si avevano all’epoca. Si diceva infatti che il principe tramite procedimenti alchemici avesse iniettato nei corpi di due suoi servi del liquido da lui creato capace di trasformare il sangue in metallo in modo da preservare l’intero sistema circolatorio.
Numerosi studi negarono quest’ipotesi, dimostrando che le vene e le arterie non sono reali, ma realizzate con cera, fili di ferro e fibre di seta. La creazione e l’esposizione di queste macchine fu sicuramente a scopo didattico, ma di certo il fine ultimo del principe Raimondo era quello di stupire i visitatori, come ci dimostrano tutte le meraviglie presenti nella Cappella Sansevero.
Raimondo di Sangro e le scienze esoteriche
Sulla figura di Raimondo di Sangro ci sono molti racconti davvero poco lusinghieri, infatti i laboratori situati nelle cantine del palazzo di famiglia, gli improvvisi bagliori che ne scaturivano e le invenzioni che lì avevano origine stimolavano la fervida fantasia dei napoletani. Principe erudito e studioso di scienze esoteriche, la sua passione per l’alchimia e l’ingegneria lo rese un personaggio tanto ammirato quanto temuto.
Si dice, ad esempio, che il Principe «fece uccidere due suoi servi» per «imbalsamarne stranamente i corpi» riferendosi alle macchine anatomiche; «ammazzò […] nientemeno che sette cardinali» utilizzando la loro pelle e le loro ossa per realizzare delle sedie; accecò lo scultore Giuseppe Sanmartino per far sì che non fosse in grado di riprodurre per altri un’opera straordinaria come il Cristo velato; «entrava in mare con la sua carrozza e i suoi cavalli […] senza bagnare le ruote» e «riduceva in polvere marmi e metalli».
La morte di Raimondo di Sangro
Un’altra leggenda riguarda invece le circostanze della morte di Raimondo. La riporta Benedetto Croce: «Quando sentì non lontana la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso; senonché la famiglia […] cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato».