Al primo punto la scelta di campo internazionale
I tempi sono stretti e la lista delle incombenze è lunga, per tutti. Ma almeno sul programma, il centrodestra tira una riga a sei settimane dal voto del 25 settembre. Il tavolo, lanciato a fine luglio con tutti i partiti della coalizione, si è chiuso con l’accordo su un documento di 15 punti. L’ok finale spetterà ai leader.
Il testo mantiene il titolo della prima bozza circolata – «Italia domani», che ricalca quello scelto dal governo Draghi per il portale sul Pnrr – e aggiunge alcuni interventi su giustizia e ambiente, in linea con la riforma del processo penale e quella del Csm, e per usare gli oltre 70 miliardi del Pnrr per garantire la transizione ecologica ma anche la riconversione dell’industria pesante.
Nel dettaglio, al primo punto del programma resta la scelta di campo internazionale (l’Italia parte dell’Europa, della Nato e dell’Occidente). Segue la riforma del presidenzialismo e la lotta all’immigrazione irregolare, affidata ai decreti Sicurezza di salviniana memoria e a un generico blocco degli sbarchi. Non si cita quello navale, invocato da sempre da Giorgia Meloni. Nero su bianco è pure il taglio del cuneo fiscale e la flat tax ma senza indicare la percentuale dell’aliquota, probabilmente per evitare scontri su promesse che pesano sui conti pubblici e quindi difficili da mantenere.
La flat tax
In particolare, a chiedere la tassa piatta al 23% è Forza Italia («Sarà nel programma dei cento giorni», assicura Silvio Berlusconi a Radio 24), mentre la Lega insiste sul 15% chiedendo di estenderla ai lavoratori dipendenti. E nel dibattito entra anche il sindaco di Milano, Beppe Sala che smonta la proposta leghista: «E’ economicamente insostenibile per un Paese già enormemente indebitato». E attacca: «Non credete a queste balle».
Matteo Salvini non demorde: «Noi non stiamo promettendo una cosa inesistente, bensì qualcosa che già funziona», ribatte in serata, citando i «2 milioni di lavoratori che hanno questo sistema fiscale» alias le partita Iva. Ancora aperto è il cantiere sui candidati ma Salvini è fiducioso: «Le candidature sono sostanzialmente definite, regione per regione. Mancano i nomi e ci arriviamo a cavallo di ferragosto».
In effetti il 14 agosto è la deadline per presentare i simboli elettorali ed entro il 21 agosto vanno presentate le liste delle candidature. Più rognosa è la partita sui collegi uninominali: manca la quota assegnata ai ‘centristi’ – avranno 11 collegi o di più? – prima divisi in due liste e ora tentati dalla strada della lista unica che raggrupperebbe Udc, Coraggio Italia, Noi con l’Italia e Italia al centro. In ogni caso nel centrodestra si respira ottimismo, specie di fronte ai tira e molla che dominano lo scenario a sinistra e nel polo di centro, che forse nascerà.
In più, c’è il buon vento dei sondaggi. L’ultimo di Swg mette la presidente di Fratelli d’Italia sul podio del gradimento dei leader con il 32%, staccando Salvini (appaiato a Enrico Letta al 23%) e Berlusconi al 19%.
Per il fondatore di FI c’è da decidere il proprio futuro
«Vedremo» si limita a dire ma confessa: «Nel mio partito mi hanno assalito, mi hanno detto che è importante che mi candidi». E in effetti Antonio Tajani racconta che il pressing esiste e che l’ipotesi di un Cavaliere capolista «sarebbe giusta e utile» e il giusto risarcimento dopo la ‘cacciata’ dal Senato. Bocche cucite invece – tra i forzisti – sulla premiership.
Tajani, che presenta orgoglioso il nuovo simbolo (aggiunta la scritta Partito popolare europeo per rilanciare l’anima moderata ed europeista del partito), ribadisce che «non c’è nessuna preclusione per i leader». E poi declina la parola pure al femminile per non lasciare dubbi. Salvini è più netto e rispolvera l’ovvia conseguenza della regola del 2018: Meloni premier «se prende un voto in più» nella coalizione, oppure lui stesso se avrà un voto in più. Parole dovute o forse per non aprire un terreno di scontro inutile a oltre un mese dai veri giochi.
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