Super Sud, un tuffo nella storia: la rivoluzione perde colpi e vede avvicinarsi la fine

Altro giornale particolarmente critico con la nobiltà siciliana, per il ruolo svolto durante la rivoluzione, fu ‘Il Popolo’ diretto da Agatino Previtera e collaborato da Corrao, Ciprì, Bertolami, Campo e Maria Agata Sofia Sasserno. Il foglio, il cui primo numero uscì il 9 febbraio 1848, fu pubblicato, anche se con diverse interruzioni, fino al 27 febbraio 1849, ma strada facendo cambiò il suo nome, trasformandosi in ‘La Costituente Italiana’.

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Il foglio era convinto sostenitore della Costituzione del 1812 ma rimodellata sulla base delle rinnovate esigenze dettate dai tempi. Quest’ultima, infatti, secondo i compilatori, avrebbe dovuto recepire e naturalmente riconoscere la sovranità popolare, e fondare su questa «l’edificio della nuova società vera, costituzionale e civile».

Princìpi sui quali non era assolutamente d’accordo l’aristocrazia siciliana che temeva, se essi fossero stati recepiti e statuiti, di vedersi privare di tutti quei privilegi che le erano stati sempre accordati e che rappresentavano in realtà proprio la negazione della sovranità popolare.

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Con la seconda serie, che comincia il 23 settembre del ’48, il giornale diventa ancora più duro e aggressivo verso il governo nato dalla rivoluzione che veniva accusato senza mezzi termini di essere fagocitato dall’aristocrazia e di difenderne gli interessi, di non saper ricostruire ciò che era stato distrutto e, soprattutto, di essere eccessivamente antisabaudo.

Poi, via via che la rivoluzione cominciò a perdere colpi e ad avviarsi verso la fine, sulle pagine del giornale diventò sempre più chiara ed evidente l’esaltazione della repubblica e della democrazia.

1848 a Palermo nasce ‘L’indipendenza e la lega’, diretto da Francesco Ferrara

Il 15 febbraio del 1848 nasceva a Palermo quello che lo storico Michele Amari definisce il migliore fra i giornali apparsi in Sicilia durante il biennio liberale: ‘L’indipendenza e la lega’. Diretto da Francesco Ferrara, fu pubblicato fino al 14 ottobre dello stesso anno. Spesso era accompagnato da supplementi monografici su argomenti di particolare interesse e pregnanza.

Un giornale il cui titolo, come si può facilmente rilevare, sintetizzava appieno il programma politico i cui obiettivi erano proprio l’indipendenza siciliana e la federazione italiana. Fra i suoi collaboratori annoverò il meglio degli intellettuali siciliani dell’epoca: Vito e Giovanni D’Ondes Reggio, Giacinto Carini, Vincenzo Errante, Giuseppe Ugdulena, Andrea Guarneri.

Il suo direttore, Ferrara, in verità si ritrovò sovente sul banco degli imputati, con l’accusa di essere asservito al potere perché le sue note mancavano, secondo gli accusatori, d’intransigenza ideologica e, quindi, di radicalismo, mentre in realtà la sua era soltanto consapevolezza dei limiti del momento. Pur essendo, infatti, convinto che l’obiettivo finale da raggiungere fosse rappresentato dalla repubblica, Ferrara era ben conscio che non era ancora arrivato il momento di metterla in campo, perché all’opinione pubblica moderata, in altre parole all’aristocrazia, tale regime istituzionale proprio non andava giù.

Sicché, se non si voleva abbattere quanto di buono realizzato in quel periodo e preservare l’unità del popolo siciliano in lotta, era necessario, per il momento, accontentarsi di una monarchia costituzionale in cui i poteri attribuiti al sovrano fossero delimitati dai poteri di controllo definiti dal popolo attraverso i suoi rappresentanti.

Una convinzione, per altro, resa ancora più determinata dalla considerazione che anche la posizione della Sicilia a livello internazionale avrebbe potuto subire notevoli contraccolpi negativi nel caso di una scelta repubblicana. Soprattutto se assunta prematuramente.

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A determinare questa scelta di campo del Ferrara congiurò, probabilmente, anche il giudizio poco lusinghiero nei confronti di Carlo Alberto, che in quel momento godeva della massima stima di tutti i liberali italiani: «Carlo Alberto vuol essere re d’Italia; la Santa Alleanza non gliel’ha permesso; i liberali del Piemonte gli preparano la via, attendiamoci un ultimo tradimento che coroni la vita di questo camaleonte politico».

‘La Moderazione’ e ‘La Bussola’, con ‘L’indipendenza e la lega’ contro Carlo Alberto

Giudizio, per altro, analogo a quello de ‘La Moderazione’ e de ‘La Bussola’. Il che conferma come i siciliani si fossero già resi conto appieno che ad animare le mosse del rappresentante dello Stato sabaudo erano soltanto le ambizioni dinastiche: essi, quindi, non facevano alcun affidamento su un suo possibile aiuto politico.

Il 26 marzo del 1848 a Palermo cominciava le sue pubblicazioni, per chiuderle il 7 giugno, ‘Il Parlamento’. Moderato e filogovernativo, nei suoi quasi 3 mesi di vita ospitò sulle sue pagine firme di tutto rispetto fra cui Michele Amari, Francesco Paolo Perez, Vito Beltrani e Gaetano Daita.

Contestò duramente la decisione di scegliere i ministri fra membri del Parlamento, ritenendola una decisione contraria al principio della divisione dei poteri, dal momento che i ministri–deputati prescelti si sarebbero ritrovati ad avere contemporaneamente fra le mani una fetta del potere legislativo ed anche una di quello esecutivo.

‘Il Fulmine’ degli avvocati e dell’autonomista Giovanni Raffaele

Di chiara ed evidente ispirazione repubblicana fu ‘Il Fulmine’ che esordi il 5 aprile 1848 per chiudere le pubblicazioni il 28 giugno, dopo aver messo in fila una ventina di numeri. A dirigerlo gli avvocati De Caro, Ferro, Dominici e Greco, che ne erano anche gli editori.

Vi collaborarono Salvatore Salafia, Giuseppe Barresi, Giuseppe Fazio Spada, Francesco Campo. Diretto dal grande patriota autonomista Giovanni Raffaele, il 19 aprile nasceva ‘Lo Staffile’. La sua fu una vita brevissima dal momento che dopo appena un mese (il 20 maggio 1848) chiuse le pubblicazioni, che, però, riprese l’11 giugno, anche se soltanto per 4 numeri, per uscire poi definitivamente di scena il 1° luglio.

«Il titolo di questo giornale – sottolineava il direttore nell’editoriale del primo numero – vi rivela lo scopo a cui mira. Il compilatore menerà a dritta e a manca il suo staffile, ma non alla cieca. Egli desidera e curerà di non colpire gli amici, ma badino che se essi visi menano sotto rimarranno storpiati, né la colpa sarà da addebitarsi a chi lo maneggia, bensì a loro stessi che ciechi non han veduto il precipizio verso cui correvano, e avvertiti non hanno ascoltato».

Ed evidentemente, nei pochissimi numeri usciti, dovette riuscire appieno nel proprio intento, se è vero com’è vero che, nonostante si presentasse come una pubblicazione di grosso spessore culturale ed equilibrata nelle critiche, fu una vera spina nel fianco del potere. Il che spiega anche la ragione della sua subitanea scomparsa dalla circolazione.

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