Sud, Bonomi (Confindustria) propone il ritorno delle gabbie salariali. Vuole affondarlo definitivamente?

Tra coronavirus e crisi economica, anche per i ritardi accumulati nel tempo, sul piano infrastrutturale e di provvedimenti che puntano a sottrarre risorse al Sud e trasferirle al Nord (ultima delle quali la stupenda idea del Governo Conte e della Commissione parlamentare per il Federalismo fiscale, di cambiare probabilmente con uno dei prossimi dpcm, così nessuno potrà avere alcunché da ridire – il sistema di calcolo delle risorse per l’ambiente e strappare altri 70 milioni all’Italia sotto il Garigliano per dirottarli a quella di sopra) il Mezzogiorno, continua a segnare il passo.

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Eppure di potenzialità per crescere, facendo crescere l’Italia intera – ne ha tantissime e le cose da fare sarebbero davvero molte. Prima, però, di continuare a leggere quest’elenco – minimale, in verità – di soperchierie del Nord ai danni del Sud,vi propongo di dare uno sguardo alle due pagine di proposte, tratte da “Capitale Sud” edito da Iuppiter e pubblicate da Chiaia Magazine alle pagine 6 e 7, fra le quali troverete anche, in contrapposizione al ritorno delle gabbie salariali riproposte dal nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, quella della paga partecipativa – di cui il sottoscritto si sta facendo carico di portare avanti da tempo – che non taglia gli stipendi ai meridionali, ma semplicemente gliene dilaziona una parte.

Certo, con il piano Sud 2030, un progetto per l’Italia, il governo Conte ha promesso d’investire oltre 123 miliardi di euro per il Sud dal 2020 – già trascorso, inutilmente, però – al 2030. Pensano davvero di durare così tanto?

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Ma alle sopercherie di cui sopra cominciamo dalle premialità per le Università italiane che penalizzano costantemente gli atenei del Sud perché la divisione viene sempre, effettuata sulla base di criteri – teoricamente neutri – in realtà costruiti in maniera che li penalizzano. Perché sbilanciati sul contesto territoriale e non tenendo in alcun conto criticità e le problematiche dei singoli atenei, ne condizionano la quotidianità e finiscono regolarnente per favorire quelli del centronord, piuttosto che quelli meridionali.

E se la discriminazione nei confronti delle università del Sud è figlia di criteri, teoricamente, neutrali, ma nei fatti premiali per il Nord, quella nei riguardi delle istituzioni culturali del Sud è, addirittura, prevista da una legge, che indica esplicitamente quali siano gli enti culturali da “foraggiare”.

Tredici del CentroNord (Biennale di Venezia, Reggio Parma Festival, Triennale di Milano, Festival dei due mondi di Spoleto, Quadriennale Arte di Roma, Festival di Pesaro, Festival Pucciniano di Viareggio, Ferrara Musica, Ravenna Manifestazioni, Scuola Musicale di Fiesole, Istituto Architettura di Venezia,Museo del Cinema di Priolo e Centro Europeo Toscolano) due di livello internazionale (Unione di Berna per la Protezione delle Opere Letterarie e Artistiche e Centro Internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei Beni Culturali) e due nazionali (Italia Nostra e Fondo Ambientale Italia), ma nessuno meridionale.

Sono loro, quindi, ad essere regolarmente ed annualmente “omaggiati” dal Ministero per i beni culturali e ambientali cui tocca suddividere fra gli Enti, istituti, associazioni, fondazioni ed organismi culturali vari, le cifre stanziate dal Governo per la sopravvivenza della cultura italiana.

Certo, il Mezzogiorno può partecipare alla distribuzione di un’ulteriore fetta minimale, che viene assegnata attraverso un concorso nazionale e può anche partecipare ai bandi per l’attribuzione delle risorse che, lo stesso Mibact, mette a disposizione della Cultura.

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Qualcosa, insomma, certamente gli arriva, ma, tanto per non cambiare, si tratta di pochi spiccioli. E, senza nessuna certezza di vederseli attribuiti. Certo, come dice l’antica saggezza, “spes ultima dea”, ma al Sud ci sono enti culturali come: l’Istituto Italiano di Studi Storici, eredità di Benedetto Croce, l’Istituto Italiano di Studi Filosofici, fondato da Gerardo Marotta, l’Accademia Pontiniana e l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, che non hanno alcunchè da invidiare ai 17 succitati, ma che lo strasbismo governativo continua a costringere ad una vita grama e sempre a rischio sopravvivenza.

Sono molto più conosciuti e considerati a livello internazionale, ma per lo Stato italiano hanno da scontare un peccato originale: sono meridionali.

E non finisce qui, anzi le rapine ai danni del Sud continuano: 158 anni dopo la tragica stretta di mano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, il governo continua a foraggiare l’associazione “volontari e reduci garibaldini” (Domanda: quanti ce ne sono ancora in giro?); nonostante una legge speciale del 1950 imponesse ad aziende a partecipazione statale, Ministeri ed Amministrazioni, di destinare al Sud il 40% dei propri investimenti ordinari, la quantità di risorse arrivate al di sotto del Garigliano non ha mai superato lo 0,5% del prodotto interno lordo contro il 35 investito al Nord.

La legge di stabilità firmata da Matteo Renzi nel 2014 dei 5,8miliardi di euro a disposizione del sistema ferroviario stabiliva che il 99% (5,74 miliardi) andasse investito al Nord e solo l’1 (60 milioni) al Sud e nel suddividere fra i comuni le risorse 5,6 miliardi per gli asili nido ed istruzione ben 700milioni sono stati sottratti al al Sud e dirottati al Nord; e , per finire, la Rca per l’assicurazione delle auto per la quale annualmente i “sudisti” sono costretti a pagare – se gli va bene – il doppio degli automobilisti del Nord.

E mi fermo qui, non perché gli esempi che si potrebbero fare di ruberie dell’alt(r)aItalia ai danni dell’Italia del tacco siano tutti qui, anzi. Non dimentichiamo – tanto per citarne soltanto un altro, decisamente significativo, soprattutto in questo momento – quello relativo alla ripartizione annuale dei fondi per la sanità che “regolarmente e stranamente (ma non troppo)” – al Nord sono sempre il doppio di quelli che finiscono al Sud.

Il che, peraltro, crea un’altra distorsione: i meridionali, non convinti della qualità delle proprie strutture sanitarie – anche quelle eccellenti che pure esistono – scappano al di là del Garigliano e, di conseguenza, “regalano” altre risorse alla sanità del Nord. Ecco perché mi fermo qui: non intendo continuare a sfasciarvi il fegato a furia di pugni nello stomaco.

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