Dopo le regionali si apre il dibattito nel Centrodestra. In attesa dell’incontro tra i tre leader

«Costituente del centrodestra». E’ il neo governatore della Liguria Giovanni Toti a lanciare la proposta, per la verità non troppo originale. Il primo sasso tirato nello stagno del Centrodestra dopo il risultato delle elezioni regionali, che a molti da quelle parti ha lasciato l’amaro in bocca.

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Era immaginabile che dopo il pareggio 3 a 3 si aprisse una discussione all’interno del Centrodestra e che si iniziasse a discutere sulle prospettive e le future geometrie dell’alleanza. I tre leader ancora non si sono visti né parlati, ma prima o poi sarà necessario farlo soprattutto per impostare la futura strategia politica alla luce in particolare di un percorso di governo, quello Conte, che ormai dovrebbe continuare almeno fino al 2022, cioè fino all’elezione del presidente della Repubblica.

E nel frattempo è Giovanni Toti, forte del successo in Liguria, ad aprire il dibattito attraverso un’intervista al Corriere della Sera e poi con un post su Facebook. Si rivolge direttamente a Matteo Salvini, invitandolo a lanciare «una vera costituente del nuovo centrodestra, una federazione nuova di forze, che raccolga tutte le energie migliori nate in questi anni». Per Toti «questa coalizione ha bisogno di essere ridisegnata», «ha bisogno di un leader che superi il suo ruolo di leader di partito, per diventare leader di tutti e candidato Premier di tutti».

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Toti propone una costituente per il Centrodestra con Salvini leader

Un leader che «deve sapersi spogliare della maglia di solo uomo di una parte per diventare la sintesi di tutti, deve saper costruire una nuova cosmogonia, che superi i vecchi schemi. Solo così il centrodestra diventerà di nuovo una vera coalizione che si candida a guidare il Paese». E per Toti il leader è Matteo Salvini che gli «elettori hanno indicato per questo ruolo di leader». Tocca a lui, insomma, per il neo governatore della Liguria rimboccarsi le maniche e rimettere su la casa del Centrodestra.

Giovanni Toti

E’ quindi Giovanni Toti a fare la prima mossa, che suona però anche come il tentativo di rafforzare la leadership di Salvini e di metterla al riparo da possibili processi, sia interni e sia esterni. Il risultato delle regionali ha lasciato l’amaro in bocca. Dal 7 a 0 si è passati al 3 a 3 che nei fatti ha salvato il governo e la segreteria di Zingaretti con il risultato di rafforzare entrambe.

A bruciare sul versante della Lega sono due risultati: la sconfitta in Toscana e la vittoria a valanga di Zaia. Nel primo caso nuovamente a Salvini viene imputata la scelta di una candidatura poco adeguata a confrontarsi con una Regione fortemente spostata a sinistra come la Toscana. Insomma, lo stesso errore fatto in Emilia Romagna.

Matteo Salvini a Torre del Greco
Matteo Salvini

A sua volta la vittoria di Zaia ridà voce e forza ai nostalgici della Lega Nord, di quelli che non hanno mai apprezzato la svolta nazionale impressa da Salvini e che guardano al leader veneto come un possibile punto di riferimento in un futuro. E anche se sia Zaia e sia Salvini hanno smentito di essere in disaccordo non è un caso che proprio il segretario della Lega a Porta a Porta abbia annunciato la costituzione di una segreteria politica, segnale che forse la stagione dell’uomo solo al comando è al tramonto ed è necessario trovare nuove formule.

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Salvini: «Abbiamo sbagliato qualcosa». Meloni: «FdI ha fatto sua parte in Puglia e in Toscana»

Nuove formule che Salvini invoca anche per la scelta dei prossimi candidati partendo dalla considerazione che «abbiamo sbagliato qualcosa. Se gli elettori scelgono l’avversario, evidentemente la nostra offerta non è stata all’altezza sia in Puglia che in Campania. Questo ci serve da indicazione, perché l’anno prossimo si eleggono i nuovi sindaci, tutti uscenti Pd-M5S, come Roma, Torino, Milano, Napoli. I romani si aspettano un’offerta migliore rispetto alla Raggi e i milanesi qualcosa di diverso da Sala che ormai si è seduto. Il centrodestra, Lega in primis, ha l’onore e l’onere di scegliere persone credibili».

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Parole che più che un’autocritica sembrano voler puntare il dito verso gli alleati, Fratelli d’Italia e Forza Italia, che hanno voluto candidare propri esponenti in quelle Regioni. Giorgia Meloni però su La Stampa, idealmente, sembra quasi rispondere a Salvini dicendo che «se volessi partecipare a questo gioco segnalerei che Fitto non ha preso meno voti delle liste della coalizione, anzi ha preso 30 mila in più. Fdi più la lista del candidato presidente hanno totalizzato oltre il 20 per cento. Ecco: noi abbiamo fatto la nostra parte, in Puglia come in Toscana. Se fosse stato così per tutti, se fossimo tutti cresciuti, avremmo vinto nonostante tutto il clientelismo di Emiliano».

Parole che sono anche il frutto della crescita di Fratelli d’Italia in queste elezioni. Infatti, mentre Lega e Forza Italia segnano il passo, FdI è l’unico partito del Centrodestra a crescere e che quindi non accetta di essere portata sul banco degli imputati.

Dichiarazioni che sembrano confermare il nervosismo che si respira all’interno del Centrodestra dove ancora non è chiaro come si articolerà l’opposizione da adesso in avanti. Confusione che regna sovrana in Forza Italia che è il partito che più di tutti nel Centrodestra ha segnato il passo in queste elezioni.

Antonio Tajani
Antonio Tajani

Sono sempre più insistenti le voci che chiedono un cambio al vertice di Tajani, la cui guida da molti viene messa in discussione. Il timore che serpeggia è quello di un mesto rompete le righe, anche perché all’orizzonte non si vedono leadership tali da poter invertire la tendenza del partito. Ormai troppo anziano Berlusconi per pensare che possa essere il futuro e che possa guidare Forza Italia verso nuovi lidi.

Il futuro del Centrodestra dipenderà molto dall’incontro, quando ci sarà, tra i tre leader che dovranno individuare una linea che consenta di muoversi in uno scenario che soltanto una settimana fa nessuno pensava fosse realistico, e cioè quello di un Pd uscito rafforzato dalle elezioni e di un governo meno instabile.

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