Referendum. Il difetto sta nel manico, nella qualità e non nel numero dei parlamentari

Nuccio Carrara - Sud - ilSud24
Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Forse il 20 e 21 settembre saremo chiamati a votare per il più inutile dei referendum costituzionali dell’intera storia repubblicana, quello riguardante il taglio dei parlamentari. Il forse è d’obbligo perché non può esserci alcuna certezza da parte di un governo che ormai sta seppellendo la democrazia in nome di un’emergenza sanitaria più strombazzata che reale, ma molto funzionale alla conservazione del potere e a un suo uso sconsiderato e fuori misura.

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L’insipienza dei nostri politici è nota, ma quello che dal nostro punto di vista sembra più assurdo è che l’intero centrodestra si dichiari favorevole al capriccio grillino di ridurre fortemente la rappresentanza parlamentare senza considerarne a fondo gli effetti e le implicazioni politiche, istituzionali e territoriali.

Giusto gli eredi di Almirante dimenticano che il glorioso Movimento Sociale Italiano, nelle prime elezioni del 1948, non avrebbe potuto avere rappresentanza parlamentare, con un mini-Senato di 200 componenti e una mini-Camera di 400 deputati, come vorrebbe l’attuale riforma costituzionale. Fu proprio grazie ad una legge proporzionale e ad un numero ragionevole di parlamentari (811 su 46 milioni di abitanti), che poté eleggere un senatore, con uno striminzito 0,9%, e sei deputati con un 2% alla Camera.

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Pure la Lega dovrebbe riflettere sulla sua storia e ricordare che nelle elezioni politiche del 2001 non superò la soglia del 4%, allora prevista per avere rappresentanza alla Camera dei deputati nella quota proporzionale: si fermò al 3,9%, ma ebbe un significativo numero di deputati nella quota maggioritaria dei collegi uninominali a turno unico grazie alla coalizione di centrodestra.

Su Forza Italia è meglio stendere un velo pietoso. Persa la spinta propulsiva degli anni novanta, dopo la felice intuizione del suo leader Berlusconi di introdurre di fatto, senza alcuna modifica costituzionale, un sistema bipolare, oggi si trova a vivere un lento declino che dura da più di un decennio e la induce a scelte dubbie, tra la voglia di inciuci governativi e la pretesa di essere ancora forza di opposizione.

La vittoria dei SI è poco auspicabile se si pensa che si dovrà fare i conti anche con la prossima legge elettorale. Se rimarrà la previsione voluta dal governo di adottare un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%, vi sarà una moria di partiti medio-piccoli e milioni di elettori avranno espresso un voto inutile, che risulterà privo di effetti e di rappresentanza politica.

Ciò potrà piacere ai grandi partiti che vampirizzeranno i partiti sotto soglia. Ma la storia dimostra che si può essere grandi oggi e piccoli domani: ne sanno qualcosa Bertinotti e Fini, due Presidenti della Camera che, da leader di partiti medio-grandi, furono travolti dalla sconfitta elettorale e non hanno più fatto rientro nei ranghi degli eletti.

Anche le implicazioni istituzionali non possono essere sottaciute, e non saranno poche: bisognerà, ad esempio, procedere a modificare i Regolamenti di Camera e Senato per adattarli alla nuova composizione numerica. Ci saranno effetti distorsivi pure sulla composizione delle Commissioni e persino sulla elezione del Presidente della Repubblica. La perdita di tempo sarà notevole e nel frattempo le poltrone resteranno salve.

Ma tutto questo ha poca importanza per chi pensa che le Istituzioni comportino solo inutili costi per la collettività, quando non siano anche considerate ricettacolo di “parassiti” e di “ladri”, secondo la vulgata del Movimento 5 Stelle: una sorta di congrega nella quale i pargoli del profeta Grillo si stanno trovando a proprio agio e stanno gustando il tonno delle scatolette che si erano ripromessi di aprire appena entrati in Parlamento.

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Le implicazioni territoriali di un’eventuale vittoria dei SI, sono quelle che avranno un maggiore impatto negativo, soprattutto sui territori a bassa densità abitativa e in posizione geografica marginale o disagiata. Già oggi le aree interne, soprattutto al Sud, sono scarsamente rappresentate e con la riforma costituzionale lo saranno ancor di più.

Con un’eventuale legge elettorale interamente proporzionale, il danno sarà ancora maggiore e sarà ulteriormente aggravato se rimarrà il metodo delle liste bloccate.

Oggi il 61% dei parlamentari non viene eletto direttamente dagli elettori, attraverso il voto di lista e la preferenza nelle liste plurinominali, ma la sorte di ciascun candidato viene decisa dalla posizione nelle rispettive liste. Si hanno così dei deputati e dei senatori nominati più che eletti.

Va da sé che, chi si ritrova a fare il parlamentare per volontà del proprio leader che l’ha piazzato in posizione utile nella lista di partito, non può certamente ritenersi legato più di tanto al proprio territorio. Non ne avverte i bisogni e le istanze non dovendo rendere conto direttamente agli elettori del territorio.

A questo punto non è particolarmente difficile prevedere che le aree interne e periferiche, lontane dai grandi agglomerati urbani, saranno ancor più trascurate dalla politica, che guarderà ai serbatoi elettorali più consistenti cui andranno le maggiori attenzioni.

Nel frattempo, dovrà continuare inesorabilmente il taglio della “spesa pubblica improduttiva”; bisognerà ripagare i “creditori” che vivono sul lavoro e i risparmi dei “debitori”. Siamo dentro la più bieca ideologia liberista fondata sull’indebitamento universale, pubblico e privato, motore del mondo e dell’economia. E non pensiamo di uscirne.

Naturalmente, le aree prive di rappresentanza politica, saranno più facilmente aggredibili quando si parlerà di “razionalizzazione”, di “efficientamento”, e di “contenimento della spesa pubblica”. Si continuerà ad assistere, senza battere ciglio, al taglio di ospedali, scuole, tribunali etc.

Senza l’incomodo di trovare in parlamento chi potrà alzare la voce, magari contro la disciplina di partito, per difendere il proprio territorio massacrato e abbandonato al proprio destino.

I paladini del “risparmio” e dell’”onestà” hanno già fatto troppi danni come sta a dimostrare la sciagurata riforma delle province tanto cara all’Unione europea: un bel risparmio di democrazia. Adesso propongono il taglio dei parlamentari nel tentativo di svilire un’istituzione che, se venisse messa in condizione di funzionare, potrebbe essere la cinghia di trasmissione della volontà popolare, anziché ridursi ad un manipolo di raccomandati al servizio dei propri padroni politici a loro volta al servizio dei poteri che contano e che stanno dietro queste ideone di revisione costituzionale.

A tanto si è arrivati perché nel tempo è venuta a mancare una vera classe politica con una autentica formazione maturata nel confronto e nel dibattito delle idee.

Il difetto sta nel manico, sta a monte, sta nella qualità dei parlamentari e non nel loro numero. L’aritmetica non è lo strumento adatto per misurare il valore degli eletti, con buona pace di chi pensa il contrario dall’alto della propria mediocrità e scarsa capacità intellettiva.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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