Demo e 5Stelle fingono di non accorgersene, ma nasce il ‘Renziconte’ e ora comanda Renzi

di Dario Caselli

«Tante volte, all’interno della maggioranza, ci siamo interrogati e anche divisi in ordine, per esempio, all’impatto conseguente alla riforma della prescrizione. Su questo punto, così come su tutto l’andamento dei tempi del processo, sarà importante, sulla scia di quanto già fatto per il codice rosso, istituire una Commissione ministeriale di approfondimento e monitoraggio dei tempi che permetta di valutare l’efficacia della riforma sia del nuovo processo penale sia del nuovo processo civile. Il confronto nella maggioranza sarà costante, approfondito e improntato alla leale collaborazione».

E’ in queste poche righe la polizza vita del governo, quelle che ieri hanno consentito al ministro Alfonso Bonafede di evitare la sfiducia e soprattutto all’Esecutivo di cadere. Il Guardasigilli le pronuncia quasi al termine del suo intervento, quando ha affrontato le questioni sollevate dalle opposizioni nelle due mozioni di sfiducia. In particolare, lo scontro con Di Matteo e le scarcerazioni dei boss e criminali per via delle misure anto Covid-19.

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E quando pronuncia queste poche righe è chiaro che il segnale, il passo decisivo che da giorni chiedeva Matteo Renzi è arrivato, a conferma che gli incontri della sera precedente sono andati a buon fine. Un passo che segna anche una svolta importante nella linea politica del M5S. Lo dice chiaramente il capogruppo in Senato del Pd, Andrea Marcucci, che al termine del voto parla di una «nuova fase per il governo al ministero della Giustizia» e di un «messaggio pressante» che «tutta la maggioranza ha mandato al titolare del dicastero di via Arenula».

Il che significa per il M5S di dover riporre tutto l’arsenale politico e propagandistico che aveva fatto del ministero della Giustizia il suo braccio armato per realizzare quanto da anni viene ripetuto e rilanciato sui social e nei vari meet up.

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Una modalità di lavoro che poteva essere accettabile in un’alleanza con la Lega, ma che con un partito-Stato come il Pd ormai non è più tollerabile. Quindi da questo momento si volta pagina in una logica più inclusiva e meno dirompente perché come ripete in Aula Bonafede «il confronto nella maggioranza sarà costante, approfondito e improntato alla leale collaborazione». E chissà che si possa realizzare l’auspicio di Franceschini, quello di dare vita a una coalizione solida e replicabile anche a livello regionale dove il M5S, ormai educato e costituzionalizzato, stazioni stabilmente nel campo del centrosinistra.

Ma questa non è l’unica conseguenza del voto di ieri. Infatti, se è vero che il governo ha evitato la caduta e la crisi, questo però non significa che ne esca rafforzato. Anzi paradossalmente l’Esecutivo è più debole di prima perché tenuto in vita da Renzi e la sua pattuglia di senatori. Basta guardare il resoconto delle votazioni di ieri a Palazzo Madama per rendersene conto. Infatti, la mozione presentata dal centrodestra con i voti di Italia Viva sarebbe passata visto che i 17 senatori avrebbero portato i favorevoli al 148, mentre a sua volta i contrari sarebbero scesi a 143.

Numeri impietosi che dicono che il governo Conte è debolissimo perché senza Renzi non è autosufficiente, legato mani e piedi a un alleato che gioca politicamente in maniera spregiudicata con il chiaro intento di acquisire spazio e visibilità. Il che lo porta a fare a sportellate con le altre forze di maggioranza e ad andare avanti a forza di ultimatum con l’effetto di aumentare le fibrillazioni nella maggioranza. E il rischio, o sarebbe meglio dire il timore, all’interno del Pd è che prima o poi possa capitare l’incidente e arrivare così alla crisi di governo.

La verità è che per ora Renzi non ha alcuna volontà di far cadere il governo, non soltanto perché teme le elezioni visto che i sondaggi lo danno impietosamente lontano dalla soglia di sbarramento, ma anche perché non si sono ancora determinati gli scenari alternativi. Non è un mistero che Renzi punti a costruire una forza moderata, centrista che si collochi a destra del Pd e alla sinistra di Lega e FdI e che possa fare da ago della bilancia.

Non bisogna dimenticare che l’ipotesi verso cui si sta andando, soprattutto se passasse il referendum costituzionale, è un modello elettorale di tipo proporzionale. Quindi addio alle coalizioni, al centrodestra e al centrosinistra e ritorno alle maggioranze che si formano in Parlamento. Uno schema ideale perciò per una forza centrista capace di raccogliere un 10 per cento di consenti.

Ma per fare questo Renzi deve disarticolare gli attuali schieramenti politici. Da un lato sganciare Forza Italia dalla morsa sovranista di FdI e Lega (come con la vicenda Mes), dall’altro portare avanti il processo di consunzione del M5S contestualmente a quello di sterilizzazione della leadership politica di Conte, il quale al momento rappresenta l’unico che può contendergli il primato in quell’area politica centrista. E chiaramente il tutto passerebbe per la caduta di questo governo e la nascita di uno di unità nazionale per arrivare fino al 2023. Ma come detto i tempi non sono ancora maturi e quindi per il momento si va avanti con questo schema di governo.

Ciononostante finora Renzi ha portato a casa importanti risultati come la sospensione dell’Irap, la regolarizzazione dei migranti in agricoltura e il mezzo passo indietro del Guardasigilli sulla riforma penale e della prescrizione. E in lista adesso c’è lo sblocca cantieri, anche se Conte sta cercando di evitare che Renzi si appunti sul bavero l’ennesima stelletta facendo rientrare il piano nel prossimo decreto semplificazioni. Queste le richieste sul fronte programmatico, ma è evidente che Renzi punti a far fruttare la sua centralità anche nell’ambito dei posti di governo.

Anche se gli stessi renziani negano, oltre all’ipotesi di alcuni ingressi nella compagine di governo, con Gennaro Migliore che potrebbe tornare a fare il sottosegretario al ministero della Giustizia e un possibile terzo ministro per le politiche della famiglia in quota Italia Viva, ci sono le presidenze di Commissione che proprio a giugno saranno rinnovate. Ci sono gli esponenti leghisti da sostituire, e qui fanno gola la Bilancio alla Camera e la Finanze al Senato, oltre a un possibile ridimensionamento degli stessi Cinquestelle che, nella logica adesso di una coalizione di governo non più formata solamente da due partiti, saranno costretti a fare cessioni a vantaggio di Pd, Leu e appunto Italia Viva.

Ecco perché chi pensa che il voto del Senato abbia rafforzato la maggioranza si sbaglia di grosso. Il governo mai come adesso è appeso a un filo, quello di Renzi e sarà lui a decidere quando tagliarlo.

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