Non basta una manifestazione unitaria per sostenere che il Centrodestra è rinato

Basterà una manifestazione unitaria, dopo aver messo a tacere polemiche e distinzioni, per sostenere che il centrodestra è rinato? Francamente ci sembra un po’ poco. È necessario che operi la politica per condurre in porto progetti di tal genere. E di politica, da quelle parti, non se ne vede molta.

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Abbonda la propaganda, certamente. Ma la progettualità finalizzata alla ricomposizione di un movimento capace di sfidare tutti gli altri schieramenti in campo, nel nome di una comune visione e strategia, è un’altra cosa. Salvini, Meloni e Berlusconi, con autentico spirito di servizio per la loro parte e di realismo per il bene del Paese, dovrebbero una buona volta mettere da parte le divisioni ed ingegnarsi nella costruzione di un soggetto che pur salvaguardando le distinzioni al proprio interno, sia capace di proporsi come autenticamente coeso e compatto nel tentare di dare una spallata all’attuale maggioranza che ha gestito nel modo peggiore l’emergenza epidemica e si appresta a raccogliere i frutti malsani della povertà, del disagio, della precarietà, della recessione, del conflitto permanente che potrebbe diventare contagioso in tutte le aree del Paese.

Il regalo post Covid-19 di Conte, del suo governo e delle pletoriche assemblee di “esperti”, pomposamente definite task force, sarà assai amaro per tutti gli italiani che potrebbero addirittura provare il veleno della patrimoniale se, come è facile ritenere, non dovessero bastare le risorse derivanti dall’indebitamento con tutti (Bce, Bei, Recovery fund, eccetera) per far fronte non ad un dissesto ordinario, ma alla fame. Sì, proprio quella che come spettro ha animato i periodi più terribili della nostra storia.

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Dalla disoccupazione e dal calo fino al -9% del Pil non c’è da attendersi altro se non la miseria generalizzata che innescherà, ancor più di quanto è accaduto nel recente passato ad opera di demagoghi odianti per professione, odio sociale e disunione civile sulle macerie di istituzioni che confliggono tra di esse come se fossero bande nemiche: governo e regioni hanno dato negli ultimi mesi uno spettacolo avvilente per accaparrarsi fette di potere a scapito delle aspettative dei cittadini i quali, tra le sgangherate pandette sfornate da Palazzo Chigi e le strepitanti opposizioni dei governatori, non ci hanno capito assolutamente niente. E speriamo che il buon senso degli italiani sopperisca alla improntitudine dei massimi rappresentati delle istituzioni nell’affrontare non soltanto la “fase due”, ma il più complesso rapporto di convivenza con il coronavirus che, per quanto – come si dice – meno aggressivo, cammina comunque accanto a noi e non mollerà la presa né presto, né facilmente.

Davanti a questa situazione che rimanda ad un film dell’orrore, piuttosto che inanellare striscioni e guardarsi in cagnesco, salvo poi, per pure ragioni di opportunità, far finta di stare serenamente insieme, le componenti che dicono di riconoscersi nel centrodestra dovrebbero seriamente e con impegno studiare un progetto che preluda ad un mutamento politico ed istituzionale posto che i guai nel quali siamo derivano dall’assenza di uno Stato che – costituzionalmente, purtroppo, grazie al disgraziatissimo Titolo V – non esiste più ed altro non è che la controparte di tutte le altre forme rappresentative, a cominciare dalle Regioni, si ricomponga in una sua autonomia e superiore unità in modo che sia identificabile finalmente un centro di comando, un “decisore” che guidi questo Paese sui diversi fronti che l’emergenza civile, economica, politica e sanitaria ha aperto.

Insomma, il centrodestra, se ha davvero la volontà di esistere e di rappresentarsi come elemento strutturale di una nuova fase politica, deve mettere da parte le differenziazioni giocate in vista delle prossime elezioni politiche e ricomporre un quadro di proposte statuali, economiche e sociali fidando sulla sensibilità dei rispettivi elettorati piuttosto che sulle contese tra apparati che hanno dissolto quella che poteva essere davvero una “macchina da guerra” in grado di mobilitare milioni di italiani nella ricostruzione del Paese.

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Le sciarade tra i soggetti del defunto (perché tale è la sua condizione e segni di resurrezione non ne vediamo) centrodestra non soltanto sono inutili, ma dannose. Gli stessi protagonisti se ne dovrebbero rendere conto, esaminando le improvvisate uscite del redento passato, a cominciare da quell’inspiegabile “sovranismo” abbandonato come un ferro vecchio al deposito dove giacciono tutti i residui delle rottamazioni politiche. Ma non bastava affermare che la sovranità è il cuore della politica e che tutto si sarebbe fatto per difenderne l’autonomia (giusto Il pensiero di Carl Schmitt, di Julien Freund e di Gianfranco Miglio) nazionale e continentale (perché esiste anche una sovranità del genere che richiama se non nella forma, nella sostanza l’antica concezione imperiale che grande fortuna ha avuto nella costruzione dell’Europa che era e resta “Terra di nazioni”)?

Bisognava differenziarsi, dai popolari e dai conservatori, dai riformisti e dai nazionalisti (troppo poco, troppo vecchio il riferimento, vero?) per poi dividersi perfino nell’Europarlamento e mandare a monte un soggetto politico sposando il populismo senza popolo e il sovranismo senza sovranità (posto che questa la esercitano gli altri ai nostri danni per non averla saputa noi difendere). Le manifestazioni servono a mobilitare intorno ad una proposta, non a segnalare l’esistenza in vita di un soggetto politico. E possono essere perfino nocive se tese a dividere senza farlo sapere o nascondendolo alla bell’e meglio. C’è bisogno di altro.

Intanto che Salvini, la Meloni e Berlusconi ci facciano sapere, con sincerità, se – tenuto conto della riforma elettorale e del dimezzamento dei parlamentari – il centrodestra è ancora uno strumento politicamente valido per affrontare la competizione politica o non sarebbe meglio dare vita ad una confederazione di soggetti che si alleano in vista delle elezioni stipulando un patto post-elettorale dal momento che la via del proporzionale sembra ormai senza ostacoli. Tanto nell’uno che nell’altro caso, se non ritengano di dar vita ad una “Costituente patriottica” alla quale i diversi segmenti del vecchio centrodestra, e molti altri ancora, possano aderire per dare un apporto costruttivo alla ridefinizione dello Stato e della società italiana in una Europa che sta subendo la più implacabile aggressione economica del dopoguerra e pagherà, con la sua immobilità, le ricadute del conflitto destinato ad acutizzarsi tra Cina, Usa, Federazione Russa e mondo arabo in genere del quale l’Unione continentale farà le spese.

Un’Europa, dunque, per quanto debole e inconsapevole di se stessa (rappresentata in particolare dall’Olanda dalla Svezia, dalla Danimarca, dall’Austria , dalla Finlandia ostili all’Italia ed al Mediterraneo come se si sentissero minacciate nei loro averi) ha il dovere della resistenza: ecco come ritorna la questione della sovranità degli Stati in un aggregato “imperiale”. Il centrodestra potrebbe avere la compiacenza di dirci da che parte sta e, giacché c’è, qual è il suo modello di Stato intorno al quale richiamare l’opinione pubblica? Ecco. Queste “cosucce” sarebbero elementi per una buona ripartenza per chi intende coltivare il progetto dell’alternativa al sistema, una suggestione antica che ritorna di questi tempi, forse perché ci si accorge che è tutt’altro che usurata. Mentre ad usurarsi è la Repubblica sotto i colpi di una classe politiche inadeguata, incapace e cieca.

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