Elezione diretta del premier: la riforma arriva in Consiglio dei ministri

Bagarre sul limite dei mandati del presidente del Consiglio

La riforma costituzionale per l’elezione diretta del premier è pronta al D-day. Oggi il disegno di legge sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri e una volta approvato, potrà passare alla lunga maratona parlamentare. Nel frattempo si è continuato a limare il testo, in una trattativa gestita per lo più da Lega e Fratelli d’Italia, più spesso rivali che alleati.

Ma arrivata a buon punto, assicurano molti nella maggioranza. In particolare, si sarebbe delineata la norma anti ribaltoni, in caso di crisi di governo. Con la novità sostanziale – rispetto alle bozze circolate pochi giorni fa – che il capo dello Stato può incaricare un parlamentare candidato nella stessa coalizione del premier dimissionario o sfiduciato, ma solo una volta. Se fallisce anche il piano B, il presidente della Repubblica ne prende atto e scioglie le Camere. Un’aggiunta che, secondo i più critici, è un ulteriore colpo di accetta ai poteri del Quirinale.

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Oltre che rafforzare, implicitamente, il ruolo del premier subentrante: è lui che diventa cruciale per lo scioglimento del Parlamento, avendo in mano l’unica e ultima chance per la sopravvivenza del governo.

Al di là delle polemiche e delle tensioni dentro e fuori la maggioranza, sul premierato potrebbe aprirsi un nuovo fronte: quello sul limite dei mandati del presidente del Consiglio. La proposta di legge, che porta la firma della ministra Elisabetta Casellati, specifica che il capo del governo viene eletto dai cittadini «per la durata di 5 anni». Nient’altro. Non aggiunge se e per quanto tempo potrà restare ulteriormente a Palazzo Chigi.

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Il paragone di Zaia

Una lacuna che è il governatore leghista Luca Zaia a evidenziare per primo. Proprio lui che è al terzo mandato e senza più chance di ricandidarsi in Veneto, perché la legge non lo consente, denuncia a Repubblica: «E’ anacronistico che il futuro premier eletto non abbia il limite del mandato, mentre governatori e sindaci sì». Un’anomalia che, seguendo il ragionamento di Zaia, stride con il modello del ‘sindaco d’Italia’ spesso evocato da alcuni esponenti del centrodestra come riferimento della riforma. Un allarme che potrebbe trovare seguaci in altri amministratori a fine corsa, anche dello stesso schieramento di Zaia.

L’opposizione

Per ora a cavalcare l’sos (pur con un altro approccio) è il Pd. Il senatore Dario Parrini evidenzia la «gravità» della mancanza anche nel confronto con il resto d’Europa. E ricorda che «in tutti i 14 Paesi Ue, in cui vige l’elezione nazionale diretta di una persona, il limite dei due mandati esiste nella Costituzione». Succede ad esempio in Francia dove la Costituzione – fanno notare i Dem – chiarisce che il premier non può esercitare più di due mandati consecutivi o in Polonia («il premier non può essere rieletto che una sola volta») o in Portogallo dove il divieto al terzo mandato consecutivo è messo nero su bianco.

In attesa della versione ‘bollinata’, l’ultima bozza a disposizione conferma l’elezione diretta del premier e il potere del capo dello Stato di assegnargli l’incarico e di nominare i ministri, su proposta del premier. Resta anche il premio di maggioranza assegnato su base nazionale, che garantisce il 55% dei seggi a chi ottiene più voti. Una novità fortemente contestata dalle minoranze, anche perché non viene indicata, invece, la soglia minima (l’asticella richiesta potrebbe fissarsi al 40%). Idem per l’addio ai senatori a vita nominati per alti meriti.

A bocciarlo è pure Matteo Renzi, unico leader di opposizione che sposa il premierato, ma perplesso sui senatori a vita: «Davvero oggi è la priorità mandare a casa Liliana Segre per tenere Claudio Lotito?». E chiede di concentrarsi sul sindaco d’Italia perché «a quello diremo sì».

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