Peppino De Filippo ha raccontato l’uomo comune con ironia e poesia
C’è un volto che, nella memoria collettiva degli italiani, incarna ancora oggi la delicatezza del teatro comico e la malinconia nascosta dietro una risata: è quello di Peppino De Filippo. Fratello minore di Eduardo e Titina, ma artista completo e autonomo, è stato, oltre a una spalla brillante o un caratterista di successo, anche e soprattutto un autore, un capocomico e un interprete capace di dare dignità poetica all’uomo qualunque. Dietro i suoi personaggi dal sorriso largo e dalla battuta pronta si celava l’arte sottile di chi conosceva a fondo l’animo umano e sapeva raccontarlo con leggerezza, senza mai essere superficiale.
Le origini e i primi anni
Nacque anch’egli dalla relazione extraconiugale di Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo, nipote di Rosa moglie ufficiale dello stesso Scarpetta. Trascorse i primi cinque anni d’infanzia a balia a Caivano e si esibì sui palcoscenici sin da bambino; infatti a soli 6 anni prese parte alla commedia «Miseria e Nobiltà» di suo padre, in cui interpretò il ruolo del piccolo Peppiniello, figlio di Felice Sciosciammocca. Fece parte della compagnia teatrale del fratellastro Vincenzo Scarpetta e, dopo varie esperienze artistiche, fondò con i fratelli la compagnia «Teatro umoristico ‒ I De Filippo» portando sul palcoscenico commedie da loro scritte e interpretate e che avrebbero poi riscosso un notevole successo in tutta Italia.
L’esordio cinematografico di Peppino De Filippo
L’esordio cinematografico ci fu nel 1933 con «Tre uomini in frack» di Bonnard, e subito dopo nel 1935, altri due film «Il cappello a tre punte» di Mario Camerini e «Quei due» di Gennaro Righelli, che vide insieme i fratelli Eduardo e Peppino in una commedia dai tenui risvolti sociali. Fino al 1944, anno in cui la loro compagnia teatrale si sciolse, la collaborazione dei De Filippo trovò nel cinema una nuova forma espressiva recitando in film come «Sono stato io!» nel 1937 di Raffaello Matarazzo, «In campagna è caduta una stella» nel 1939 diretto dal fratello Eduardo e «A che servono questi quattrini? « nel 1942 di Esodo Pratelli.
L’incontro con Totò
Peppino De Filippo riuscì a emergere nel mondo del cinema, senza i fratelli, soltanto nel dopoguerra interpretando una serie di personaggi in commedie di costume come «Bellezze in bicicletta» di Carlo Campogalliani, «La famiglia Passaguai» di Aldo Fabrizi.
Il momento più alto ci fu nel 1952 con l’incontro con Totò sul set di «Totò e le donne» di Mario Monicelli e Steno, che segnò l’inizio di una meravigliosa collaborazione che avrebbe reso Peppino la «spalla» più famosa del cinema italiano, esaltandone le innumerevoli doti in film come «Totò, Peppino e i fuorilegge», «Chi si ferma è perduto» di Sergio Corbucci; «Signori si nasce» di Mario Mattoli.
Rimarrà eternamente impresso nella memoria dei napoletani, ma non solo, anche «Totò, Peppino e la Malafemmina», uscito nel 1956, diretto da Camillo Mastrocinque.
Il ritorno al teatro
Nel 1962 Fellini lo volle protagonista, in «Le tentazioni del dottor Antonio», film diretto anche da Luchino Visconti, Vittorio De Sica e Monicelli e quando successivamente si concluse la brillante esperienza con Totò, ridusse la carriera cinematografica privilegiando quella teatrale; infatti fece la sua ultima apparizione sul grande schermo nel 1979 in «Giallo napoletano» di Corbucci, al fianco di Marcello Mastroianni.
Peppino De Filippo e «Pappagone»
Inventò il personaggio di «Pappagone», un umile servitore, al servizio del Cummendatore Peppino De Filippo, presentato nella trasmissione «Scala reale», in cui convergono le tipiche maschere del teatro napoletano come Pulcinella e Felice Sciosciammocca, inventando anche un nuovo gergo con i suoi «piriché, ecquequà, carta d’indindirindà». Malato da tempo, morì a Roma all’età di 76 anni il 27 gennaio 1980 a causa di una cirrosi epatica. Il funerale, per sua volontà, si celebrò nella cappella interna del cimitero del Verano e fu poi sepolto nella tomba di famiglia.