Pizzo per la realizzazione di un supermercato: l’imprenditore convocato a casa del boss

I retroscena del blitz contro il clan Amato-Pagano

La frase, emblematica, quella che racconta e cristallizza tutto ciò che è essere imprenditore a Napoli, è pronunciata dalla moglie della vittima di ‘pizzo’. A luglio del 2019, dopo che il marito è stato più volte contattato da esponenti del clan Amato-Pagano di Mugnano, i 5 destinatari di una misura cautelare eseguita dopo indagini dei carabinieri, gli dice: «Tu fai un lavoro che, qualsiasi cosa fai, arriva la camorra». E infatti un imprenditore napoletano per realizzare 25 appartamenti, un capannone e un supermercato avrebbe dovuto versare 250 mila euro di tangente alla cosca.

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Poi, così come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del gip Linda D’Ancona che l’AGI ha potuto visionare, «dopo una lunga trattativa», aveva avuto uno sconto che aveva portato la cifra a 80 mila euro, 120mila in meno. In carcere Salvatore Chiariello detto Totore boxer, Domenico De Mase, detto Capa e vacca, Marco Liguori, detto Marchetiello, Nicola Schiavone detto Linuccio il Barbiere, Fortunato Murolo detto Sasamen. «Sentimi, digli al tuo datore di lavoro che domani non lavora più», fu questa la prima minaccia del clan agli operai del cantiere appena partito a Mugnano.

L’imprenditore, venne convocato a casa del boss. E lo racconta alla moglie. E’ al cospetto di «pregiudicati degli Amato-Pagano, quelli che avevano vinto la guerra con i Di Lauro, tutti tatuati, brutti». L’accordo per pagare di meno e anche l’imposizione «dell’istituto di vigilanza armata ai quali devo pagare le tranche di tangente», viene captato da una microspia.

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