Il padrino avrebbe ordinato di acquistare degli appezzamenti incolti per sotterrare i preziosi
È il boss dai mille nomi Paolo Di Lauro. Non è solo Ciruzzo ’o milionario. Ci sono tanti altri ‘nickname’ che la procura ha ritenuto fossero a lui riconducibili nelle intercettazioni. Quando Di Lauro fu portato in commissariato, a Scampia, per essere fotosegnalato e interrogato a seguito di un’aggressione a un docente da parte del figlio Nunzio (perché l’insegnante lo aveva sgridato), furono intercettati alcuni soggetti che chiedevano indicazioni a Vincenzo Di Lauro (il secondogenito del boss) su come proteggere tale «Pasquale».
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C’è poi un altro soprannome, meno noto, che è emerso nel corso delle indagini che, nel settembre del 2002, hanno portato alla prima spallata all’organizzazione di via Cupa dell’Arco: «’O cumpagno, Ciruzzo ’o cumpagno». Altri soprannomi che sono stati citati in dibattimento – e sulla loro attribuzione è scontro tra accusa e difesa – sono «’o Pippo» e «’o scucciato». L’ultimo non è passato per ordinanze o per indagini. E poi c’è «l’Ommo», come in tanti hanno cominciato a chiamarlo dopo la sua cattura, nel 2005. Ma anche questo viene «da terra», dalla strada. Da quella Secondigliano che lo ha vissuto e subìto per oltre vent’anni.
Gli affari di Paolo Di Lauro
Tuttavia «Ciruzzo ’o milionario» è il soprannome che lo rappresenta di più. Perché di soldi, Paolo Di Lauro, ne ha fatti tanti, tantissimi. Dal gioco, alle attività imprenditoriali, fino allo spaccio di droga che ha portato nelle casse dell’organizzazione criminale cifre astronomiche. Ciruzzo ha saputo differenziare gli affari della cosca, da quello sporchi a quelli puliti. Ma la guerra dei cento morti, la tremenda faida che ha confinato il gruppo Di Lauro nel rione dei Fiori ha cambiato completamente gli scenari.
La cosca si è dovuta reinventare, cercando di sopravvivere ai nuovi assetti. A quel punto al boss non è rimasto altro da fare che rafforzare la vocazione imprenditoriale del clan e cambiare modo di fare soldi, «inabissando», di fatto, il suo gruppo. Nascondendo, soprattutto, i tantissimi soldi accumulati nel corso degli anni. Così al boss, detenuto dal 2005, è venuto in mente di acquistare diamanti, rendendo così «eterne» quelle montagne di denaro che, ammassare in stanze umide e seminterrati, ammuffivano e marcivano. Inoltre, il clan, secondo risultanze investigative e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ha acquistato numerosi terreni, tra il Napoletano, il Casertano e il Basso Lazio, lasciandoli incolti.
Servivano per altro. Quei terreni sarebbero stati utilizzati esclusivamente per seppellire i diamanti. Così il clan è diventato meno ‘visibile’ ma forse ancora più ricco di prima, sopravvivendo ad altre faide, scissioni, alle operazioni della magistratura. La guerra al clan del Terzo Mondo non può dichiararsi conclusa neppure con la cattura di Vincenzo e Marco Di Lauro. Aver messo i rampolli del boss dietro le sbarre è un grande successo dello Stato, ma per debellare il cancro della malavita bisognerà insistere, lottare ancora. Finché la camorra è così ricca non può dichiararsi sconfitta.