Governo, avanti con la riforma del presidenzialismo. Nessun ‘ticket’ tra premier e vice

Primo confronto il 6 settembre al vertice di maggioranza

Il lavoro sulla riforma del presidenzialismo va avanti. Intesa come elezione diretta del premier da parte dei cittadini e che potrebbe nominare i suoi ministri, ma non revocarli. Si giocherebbe anche su questo elemento – evidenziata, secondo quanto si apprende, nella bozza originaria proposta dalla ministra Elisabetta Casellati – il tentativo di riequilibrare i poteri dei vertici istituzionali, per evitare stravolgimenti che possano infastidire il Colle e soprattutto fiaccare troppo le prerogative del capo dello Stato.

Anche su questo è al lavoro ora Palazzo Chigi. Obiettivo: limare il testo del disegno di legge costituzionale che però non è quello anticipato dai media, dall’impostazione ardita e quasi rivoluzionaria rispetto all’attuale architettura istituzionale. La ministra delle Riforme lo smentisce «categoricamente». Quindi non ci sarebbe il ‘ticket’ tra il premier e la figura obbligatoria del vicepremier.

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E nemmeno il meccanismo di sfiducia costruttiva del capo dell’esecutivo, che non convince la presidenza del Consiglio, perché suonerebbe come un altro sgarbo costituzionale al Colle. Da parte dell’ex presidente del Senato si ribadisce, invece, l’impegno a garantire pesi e contrappesi tra il premier e il capo dello Stato, che potrebbe passare ad esempio per il mancato potere di revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio. A lui la scelta di dimettersi, se lo ritenesse opportuno (il che, in realtà, si porterebbe dietro tutta la squadra) ma non di incidere sulla sorte dei singoli ministri.

Lo scioglimento delle Camere

Un’esclusione – quella della mancata revoca – che lascia intendere che lo scioglimento delle Camere resterebbe in mano al presidente della Repubblica, ma al momento non è chiaro. E comunque è un altro nodo della riforma di difficile soluzione. Al di là dei dettagli, è un lavoro che sta impegnando in prima persona il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e il giurista Francesco Saverio Marini. E che il governo potrebbe condividere la prossima settimana con le forze di maggioranza. Un’occasione potrebbe essere il vertice previsto il 6 settembre, in primis per fare un punto sulla manovra.

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Sul tavolo anche le riforme, perché no, visto l’annuncio fatto lunedì dalla premier Giorgia Meloni sul testo di legge Casellati che «è pronto», ha scandito. Un testo che è frutto delle consultazioni avviate a gennaio dalla ministra con le opposizioni. Finché a maggio la premier ha messo il proprio ‘sigillo’ convocando tutti i partiti a Montecitorio.

La proposta emersa come più realizzabile è sembrata allora quella del premierato, e non più del presidenzialismo indicata dal centrodestra nel programma elettorale di un anno fa. Una virata che la minoranza interpreta come un correttivo imposto dalla necessità di non indispettire il presidente Mattarella a nemmeno un anno di vita del governo Meloni. Tuttavia, prima che si arrivi a un testo definito, e pronto ai quattro passaggi parlamentari richiesti da una riforma costituzionale, ci vorrà ancora un po’.

Il «derby» con l’autonomia differenziata

Di certo sulla rotta del premierato c’è però un altro ostacolo su cui rischia di incagliarsi: l’altra riforma istituzionale che introduce l’autonomia differenziata e che ormai è un derby mascherato tra Lega che spinge e Fratelli d’Italia che frena. L’autonomia, creatura di Roberto Calderoli che ne ha scritto il disegno di legge, è nettamente più avanti in Parlamento. Tanto da far dire al ministro leghista che c’è «un accordo blindato» per cui il suo testo (all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato, dove è cominciato l’iter) diventerà legge prima delle elezioni europee di giugno.

Una deadline che farebbe gioco alla Lega per la sua campagna elettorale, offrendo la promessa mantenuta della più storica battaglia dell’ex Carroccio. Di certo verrà sbandierata al raduno leghista di Pontida a metà settembre. E da qui si ripartirà martedì al Senato, dove sono fermi i quasi 600 emendamenti al ddl Calderoli, quasi tutti delle opposizioni.

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