Governo, il Superbonus zavorra sui conti di Stato: già 23 miliardi di euro nel 2023

Nonostante il ridimensionamento è ancora un grosso peso

Il Superbonus al 110% non esiste più ma continua a far discutere. A parte le truffe e i crediti ancora incagliati, la misura che il governo ha fortemente ridimensionato lo scorso novembre rappresenta anche quest’anno un grosso peso per le casse dello Stato che la Nadef a fine mese porterà alla luce. Una scoperta destinata a ridurre ulteriormente gli spazi di manovra della legge di bilancio.

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I conti precisi arriveranno con la nota di aggiornamento al Def, ma dai dati dell’Enea di luglio sulle detrazioni maturate per i lavori conclusi emerge che finora gli oneri a carico dello Stato, nel 2023, ammontano a 23 miliardi di euro. Un conto salato per una misura che, dall’inizio della sua esistenza, è costata allo Stato un calo di gettito pari a 74 miliardi di euro.

La stretta di novembre scorso ha evitato le conseguenze peggiori, ma per il Mef il problema del peso sui conti pubblici rimane. Ad aggravare la posizione del vecchio Superbonus al 110% (da novembre scorso è sceso al 90%) c’è la questione delle truffe, denunciata la prima volta dal premier Draghi e dal ministro Franco, che avviarono una stretta al meccanismo di cessione dei crediti che le aveva favorite. Quando il governo Draghi intervenne gli illeciti da tutti i bonus edilizi, non solo dal 110%, ammontavano a 4,4 miliardi di euro. La premier Meloni ha aggiornato la cifra, lievitata nel frattempo a 12 miliardi.

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Il nodo crediti

Il blocco progressivo della cessione del credito, però, non arginò solo le illegalità. Le imprese e i cittadini si ritrovarono di lì a poco senza la possibilità di ‘scaricare’ i crediti, con gravi ripercussioni per la loro liquidità. Soprattutto le imprese che, attraverso il meccanismo dello sconto in fattura, avevano anticipato i costi dei lavori del 110%, si ritrovarono con miliardi di crediti che avrebbero potuto solo recuperare in dieci anni attraverso le detrazioni.

Una bolla di ‘crediti incagliati’ che ancora cerca di sgonfiarsi: l’Ance, a inizio estate, aveva aggiornato il conto a 30 miliardi, chiedendo ancora una volta al governo di intervenire per sbloccare la situazione che aveva messo i cantieri di 40mila aziende a rischio chiusura. Se per le imprese ancora si cerca una soluzione, per i privati qualcosa si è mosso. Già diverse banche, mesi fa, avevano riaperto il canale delle cessioni – ma aumentando molto le commissioni. E ad ottobre anche Poste riaprirà i rubinetti, ma con dei paletti molto stretti: riguarderà esclusivamente le persone fisiche e sarà limitato alle cosiddette prime cessioni, per un ammontare massimo di 50mila euro.

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