La giustizia non divenga terreno di scontro fra politica e magistratura ideologizzata

di Rino Nania

Rischiano di saltare le garanzie fondamentali e costituzionali che riguardano il diritto di difesa di ogni cittadino

I fatti non iniziano da oggi ma dal 1994, quando Silvio Berlusconi al suo primo mandato di governo fu raggiunto da un invito a comparire, e il fatto fu annunciato dal Corriere della Sera, e, di conseguenza, dovette cedere il passo rispetto ad un attacco della Procura di Milano. È da lì che prende avvio la guerra dei trent’anni, i cui contendenti sono la politica che cerca, con dubbio esito, di fronteggiare la magistratura, sia essa penale, che contabile che civile (ci si ricordi della questione del lodo Mondadori, che poi si trasfuse anche in azioni penali), ed una parte della magistratura ideologizzata.

Nel 2023 siamo giunti all’ulteriore approdo in cui nel mirino dei magistrati politicizzati entra la compagine governativa di Giorgia Meloni. Dopo Delmastro, il ministro Daniela Santanché viene sottoposta ad una nuova caccia, con o senza ragione, in cui i toni appaiono superare gli argomenti tecnici in diritto, sia sotto il profilo sostanziale (gestione societaria in deficit), che processuale (con proposizione di sanatorie in materia fiscale e proposte transattive giuslavoristiche). Senza entrare nelle tecnicalità appare evidente che i tempi che scandiscono questi attacchi proditori sembrano appartenere ad una sceneggiatura già scritta, che vedrebbe, proprio in questi giorni, colpire anche il Presidente La Russa per fatti e condotte che vedrebbero coinvolto uno dei suoi figli.

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In tutti questi casi il difetto sta in un comportamento discutibile, che vede le procure, anche inconsapevolmente, cagionevoli in una sorta indistinta di propalazione di notizie, ancora processualmente secretate, che vedono funzionari di cancelleria e/o agenti di polizia giudiziaria relazionarsi, più o meno dolosamente, con il sistema mediatico.

In questa maniera vengono a saltare le garanzie fondamentali e costituzionali che riguardano il diritto di difesa di ogni cittadino e nel contempo, di contro, vengono violate le regole che salvaguardano il «segreto investigativo», tutto da tutelare a difesa di chi approfondisce le indagini.

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Avviene, così, ciò che si sarebbe dovuto evitare: ovvero che la materia della «giustizia» rimane momento decisivo di scontro che non trova quella necessaria serenità, quantomeno in termini di tregua, prima che la riforma Nordio possa avere il giusto viatico parlamentare, portando a compimento tutta una serie di norme che garantiscano giustizia giusta, tutela del cittadino e delle sue garanzie e soprattutto capaci di ricostruire un clima di fiducia nei riguardi degli organi giurisdizionali.

Ciò fornisce prova, logica e fattuale, che ancora una volta si è avviata da parte della magistratura una sorta di guerra preventiva che collide con i principi dello Stato di diritto, laddove una componente della magistratura vuole svolgere, inopinatamente, un ruolo inappropriato, quando cerca di «fare politica» e quindi in questo caso svolgere il ruolo dell’opposizione, assumendo ed intessendo trame, tempisticamente poco limpide, destinate ad ordire un vero e proprio assedio nei riguardi della politica.

Su questi permanenti misteri bisogna fare un po’ di chiarezza perché tali dinamiche giudiziarie piene di ombre non aiutano a rimettere un ordine nelle relazioni istituzionali con l’effetto di negare la comprensione dei cittadini. Infatti non è possibile che un’indagine secretata possa essere propalata per scandire i tempi di un’agenda politica, che dovrà includere nel proprio operare l’interazione strana di quanti provano ad ostacolare, fuori dai limiti istituzionali, l’azione di governo.

Siano essi giornali con intenti politico-finanziari (come il Domani e La Repubblica) oppure corpi dello Stato (magistratura, personale ausiliario degli uffici giudiziari ovvero polizia giudiziaria) che mettono in moto, col proprio atteggiarsi e modularsi a seconda di chi sta al governo, dinamiche e/o negoziazioni misteriose per ovviare a timori per i propri specifici interessi ovvero tendendo ad usurpare, con discutibili presupposti aneliti di presunte libertà, poteri che non appartengono, per titolarità e misura nell’esercizio, all’egida della funzione dell’azione penale.

Ebbene in attesa che Nordio torni, in questi giorni per ragioni istituzionali al G7 sulla giustizia di Tokio, e verifichi le condizioni per inviare o meno ispettori alla procura di Milano per un appropriato scrutinio sulla strana diffusione di notizie secretate degli uffici di Milano. E sul punto, ancora una volta, si spera che il Guardasigilli possa chiarire, per l’ennesima occasione, e dare forza argomentativa che il ruolo della magistratura sia, certamente, quello di muovere guerra ai poteri criminali senza assurgere a quella funzione taumaturgica di promuovere la moralizzazione pubblica e il rinnovamento politico.

Come dice il Prof. Fiandaca, finissimo giurista e maestro per tante generazioni che si sono misurate con le questioni di diritto, bisogna, una volta per tutte, affermare, negando la possibilità, del tutto politica e quindi fuori dalla titolarità giurisdizionale propria del ruolo esercitato, che «il magistrato che si autoinveste del ruolo di combattere non singoli atti corruttivi ma il sistema-corruzione, è anche il magistrato che percepisce sé stesso come un difensore sistemico – passi il bisticcio – dell’intero sistema democratico». Speriamo che Giorgia Meloni non indietreggi di fronte a questi attacchi.

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