In manette la sorella di un boss della camorra
Avevano organizzato un sistema per introdurre in carcere e vendere ai detenuti a Badu ‘e Carros – il penitenziario nuorese da dove il 25 febbraio scorso è evaso il boss della mafia gargana Marco Raduano – telefoni cellulari in cambio di cospicue somme di denaro. Un traffico scoperto a seguito dell’inchiesta della Squadra Mobile di Nuoro, coordinata dalla procuratrice Patrizia Castaldini, che ha portato ieri all’arresto dell’assistente capo della Polizia Penitenziaria Salvatore Deledda, 38 anni di Siniscola, e di una 45enne di Napoli, Carmela Mele, sorella di Vincenzo Mele detenuto nel braccio dell’alta sicurezza dello stesso carcere.
Una quindicina i telefoni cellulari che sarebbero stati recapitati tra novembre e febbraio ad altrettanti detenuti. Secondo l’accusa, Deledda avrebbe introdotto in carcere cinque pacchi con tre cellulari ognuno che venivano spediti da Napoli. I due arrestati sono accusati di corruzione e introduzione illecita di telefoni cellulari all’interno di una struttura carceraria e sono stati rinchiusi rispettivamente a Sassari e nell’ala femminile del carcere di Pozzuoli.
Carmela e Vincenzo Mele appartengono a una famiglia di spicco della criminalità organizzata partenopea: sono infatti fratelli di Giuseppe Mele, soprannominato “o’ Cacaglio”, capo dell’omonimo clan del quartiere Pianura.
Le indagini accelerate a seguito della fuga di Raduano
I due arresti non sono direttamente collegati all’evasione del boss Raduano, ma frutto di un’inchiesta precedente a quella aperta in seguito alla sua fuga, coordinata invece dalla Dda di Cagliari. Le indagini sono iniziate alla fine dell’estate in seguito a una segnalazione di alcuni agenti della Penitenziaria e sono state accelerate a seguito della fuga di Raduano.
Gli investigatori hanno tracciato due transazioni elettroniche dal conto della 45enne napoletana a quello dell’agente di Siniscola, accertando che il prezzo pagato per la corruzione era stato di 1200 euro in un caso e 250 euro in un altro.
I cellulari venivano pagati dai detenuti – quasi tutti ristretti nell’ala dell’alta sicurezza, ora indagati per ricettazione – dai 100 ai 250 euro l’uno e le schede telefoniche erano intestate a cittadini stranieri. La Polizia è riuscita a recuperare tutti gli apparecchi all’interno del carcere, uno trovato addosso a un detenuto, altri invece rinvenuti nelle celle o in spazi comuni. «Il carcere è stato bonificato e sono stati ricostruiti i presidi di sicurezza», ha detto il capo della Polizia Penitenziaria Amerigo Fusco.
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