Il Pd affonda il campo largo. Letta e compagni rompono col M5S

di Redazione

Per Letta il rapporto «difficilmente sarà ricomposto»

Il Pd strappa dal M5s e dà il via alla campagna elettorale cambiando schema in corsa: «Lanceremo una proposta al Paese per essere vincenti alle elezioni – dice il segretario dem Enrico Letta – Attorno a questo vedremo chi ci starà». Non sarà l’agenda Draghi, ma il perimetro delle forze a cui verrà offerta è segnato dal voto di fiducia: non è gradito chi ha fatto cadere il governo. Quindi è strappo col M5s: il rapporto «difficilmente sarà ricomposto – spiega Letta – perché il gesto di ieri (mercoledì, ndr.) è sostanza, non è un fatto semplice di forma». La rottura è «ineluttabile», rafforzano poi dal Nazareno.

Sul campo ci sono Matteo Renzi, Carlo Calenda e Luigi Di Maio, che si riconoscono nell’agenda Draghi. La convergenza, però, non si traduce automaticamente in avvicinamento. Fra i pretendenti c’è un clima di sospetto reciproco. Per esempio, i renziani e Azione hanno piani diversi. E dubitano che l’addio del Nazareno al Movimento sia definitivo. «Sono convinto che troveremo il Pd nuovamente alleato con il M5s», dice il presidente di Iv Ettore Rosato. «Se è vero – è la condizione di Iv e Azione – lo dimostrino annullando le primarie in Sicilia di sabato».

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Nel Pd sale la marea anti 5 stelle

Insomma, le distanze non sono poche e i tempi per stabilire alleanze e schemi di gioco sono stretti: con il voto alle porte c’è bisogno di cominciare a ragionare su liste e collegi. Il giorno dopo la caduta del governo, nel Pd sale la marea anti 5 stelle. Per Letta mollare Draghi è stata una follia: «Le responsabilità dei partiti che non hanno votato la fiducia ieri sono di tutti – dice – Non mi si venga a fare classifiche di responsabilità».

Un attacco non solo a Lega e a FI, ma anche al M5s, quindi. Poi aggiunge: «Discuteremo e decideremo i compagni di strada. E’ evidente che il voto di ieri impatta molto fortemente, c’è stato un cambio totale di paradigma». Adesso, «pensiamo a noi, non fermiamoci a pensare cosa faranno gli altri».

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Seguono i vertici del partito. Il vicepresidente Peppe Provenzano prova «sdegno» per il mancato voto di fiducia, dovuto alla «irresponsabilità di Lega, FI e M5S». Ed Enrico Borghi, ritenuto molto vicino a Letta, taglia corto: «Preferisco parlare di mare aperto che di campo largo». Il ministro Lorenzo Guerini cita Letta: «Il totale cambio di paradigma non può non avere un impatto».

Conte prende tempo: «Il campo largo c’è ancora? Noi siamo una forza progressista, ma non per autodefinizione: siamo oggettivamente progressisti. Poi spetterà al Pd fare le sue scelte». I dubbi dei centristi sull’addio del Pd ai 5 stelle si basano sui numeri. E infatti, anche nel partito di Letta c’è chi invoca la «massima cautela», facendo notare le difficoltà, senza il Movimento, di essere competitivi in gran parte dei collegi uninominali al sud.

Di Maio, Renzi e Calenda

Nel Risiko delle alleanze, entra anche la pedina Di Maio: Idf potrebbe guardare al Pd, ma è indigesta a Renzi e a Calenda. Azione, che viene ritenuta un approdo possibile per la ministra ex azzurra Mariastella Gelmini, ha sempre lavorato alla costruzione di una forza di centro che corra da sola, da costruire partendo dal patto con Più Europa. A quella guarda Iv, specie nel caso in cui Letta non molli Conte. Letta intanto dà il via libera alla campagna elettorale. Il tema sarà: il Pd «dalla parte giusta della storia» contro chi ha fatto cadere il governo «con una decisione sciagurata per il Paese».

Il segretario dem è tornato a chiedere ai suoi «gli occhi di tigre» per comunicare «la volontà di vincere le elezioni». Martedì riunirà di nuovo i gruppi parlamentari, per discutere lo schema. Mentre al centro continuano i lavori. Renzi tenta il contropiede: chiederà a chi vuole sostenere l’area Draghi di dare un segnale. «Se non lo fanno, noi abbiamo già pronti i 200 candidati sui 200 seggi. Anche il simbolo è pronto»

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