Mentre l’Italia va a rotta di collo Draghi viaggia a rotta di Colle

Dopo Einaudi e Ciampi, potrebbe toccare a Draghi, trasferirsi al Quirinale. Così, come l’Europa, anche l’Italia eleverebbe la finanza a Costituzione

Si avvicina il momento dell’arrivo del terzo banchiere alla più alta carica dello Stato: i primi due sono stati Luigi Einaudi (1948) e Carlo Azeglio Ciampi (1999). Mario Draghi sta già scaldando i motori per raggiungere la residenza del Quirinale. Ormai fare il Presidente del Consiglio non gli basta, è un abito che gli va stretto e gli crea pure problemi. Un banchiere non può tollerare di essere condizionato nelle sue decisioni da politici rissosi e che pensano sempre alle prossime elezioni.

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La politica non si addice ai banchieri e la loro vita è fatta di spread, di tassi d’interesse, di strette creditizie, di meccanismi di stabilità, di fantasiosi parametri e di recovery variamente assortiti: tutta roba che deve essere sottratta alle fastidiose ingerenze dei «rappresentanti del popolo».

Conscio delle proprie superiori qualità, sembra che stia monitorando gli umori che serpeggiano nelle sbrindellate formazioni parlamentari, quasi tutte innamorate del loro Presidente del Consiglio, ma ancor più terrorizzate dalla possibilità di elezioni anticipate.

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Se da un lato, quindi, Draghi potrebbe essere eletto già alla prima votazione con una maggioranza di ben oltre i due terzi degli aventi diritto al voto (950 parlamentari e 58 delegati regionali), dall’altro la difficoltà oggettiva di riuscire a dar vita ad un nuovo governo dopo la sua ascesa al più alto colle di Roma, si configura per molti parlamentari come un rischio di elezioni anticipate, che farebbe perdere loro il seggio ed anche l’assegno pensionistico che maturerà solo a settembre 2022.

Mario Draghi l’insostituibile

«Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna», diceva il grande Foscolo, ed è del tutto evidente che questo parlamento, non potendo lasciare eredità d’affetti ha grande paura di una morte anticipata. Molti aspiranti al trono quirinalizio ne vorrebbero approfittare facendo credere di ritenere Draghi insostituibile nel suo ruolo di Presidente del Consiglio e lo esortano a completare la legislatura portando avanti l’ottimo (a parer loro) lavoro fin qui svolto.

Tra questi c’è persino Berlusconi, proprio lui che per tanti anni è stato la bestia nera e la vittima preferita del rancoroso mondo di sinistra. Dicono che stia interrogando i numeri, che potrebbero offrire qualche margine di illusione, ma più ampi margini di delusione. Escludendo categoricamente una sua elezione nelle prime tre sedute, nelle quali si richiede il quorum dei due terzi, si potrebbe provare a partire dalla quarta, quando il tetto da raggiungere si abbassa a 505 voti: la maggioranza assoluta.

Berlusconi, Renzi e i «Grandi elettori» mancanti

Nel centrodestra si asserisce, senza troppa convinzione, di essere tutti pronti a votare Berlusconi, ma, nella migliore delle ipotesi, si arriverebbe a quota 454: ben 51 voti sotto la fatidica soglia di 505. Eppure la fantasia non manca, soprattutto agli adulatori, e c’è chi ipotizza un eventuale soccorso di Renzi che potrebbe portare una dote di 43 elettori. Così si arriverebbe a quota 499, mancando all’appello solo sei voti, pochi ma difficili da trovare anche nel più disinvolto mercato borsistico parlamentare.

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C’è poi da dire che Renzi è aduso ad azzardate operazioni rocambolesche: lo dimostrò con la «carica dei 101», quando fece fallire l’elezione di Romano Prodi sette anni fa e, più recentemente, abbandonando il governo Conte bis per aprire le porte di Palazzo Chigi all’ex Governatore BCE.

Da Renzi ci si può aspettare di tutto e di più, ma proprio per questo non ci si può fidare, a maggior ragione quando non ha in vista una vittoria facile. Silvio stai sereno… Qualcuno ha sperato in un secondo mandato a tempo per Mattarella, giusto per concludere la legislatura, ma il Presidente ha manifestato il suo disaccordo non solo a parole ma anche con il gesto eloquente di firmare il contratto d’affitto della nuova residenza post mandato.

Sorvolando su improbabili candidature, attinte dagli scantinati della politica tra cariatidi ammuffite e stagionate «riserve della Repubblica», è meglio attenersi alle banali e disarmanti dichiarazioni di Giorgetti: «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».

Un chiaro e incoraggiante messaggio per chi teme le elezioni anticipate e accampa scuse per trattenere Draghi a Palazzo Chigi facendo finta di ritenerlo indispensabile per affrontare l’emergenza pandemica e le difficoltà di attuazione del Piano di rinascita e resilienza.

Il ruolo del Presidente della Repubblica

Naturalmente i costituzionalisti si accapigliano sul «semipresidenzialismo de facto», sui reali poteri del Presidente della Repubblica previsti in Costituzione, ma nessuno mette in dubbio la debolezza della politica. In realtà non si vuole ricordare che, a Costituzione vigente, non sono mancati presidenti che hanno trasformato il proprio ruolo di garanzia in autentico potere di intervento nelle vicende politiche: basti pensare a Scalfaro e a Napolitano, dichiaratamente ostili ai governi di centrodestra ai quali hanno reso la vita difficile e ne hanno persino determinato la caduta, tra lo strombazzamento di media servili e compiacenti.

Lo stesso Mattarella si è rifiutato pervicacemente di sottoscrivere la nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona in quanto anti-europeista, sancendo così la preminenza degli interessi dell’Unione Europea su quelli italiani ed il proprio diritto di ingerenza nella politica nazionale. In quell’occasione Salvini tuonò contro i diktat di Bruxelles ai quali oggi preferisce adeguarsi.

Intanto, l’Italia corre a rotta di collo verso il baratro, che si è aperto sotto i propri piedi grazie non solo alla pasticciata gestione della pandemia, ma anche agli inarrestabili rincari dei beni di prima necessità, all’impennarsi dell’inflazione e del costo della vita.

Draghi, invece, l’austero uomo della Goldman Sachs, della Trilaterale, del Bilderberg e del Gruppo dei Trenta, è divenuto improvvisamente più mite, più disponibile al dialogo con partiti confusi, storditi ed incapaci di darsi un vero senso di marcia, ma che in questo momento bisogna evitare di scontentare eccessivamente. Si può rallentare sulla tabella di marcia del governo pur di viaggiare meglio a rotta di Colle. Al peggio non c’è mai fine e, salvo sorprese sempre possibili anche se improbabili, avremo un altro banchiere come Presidente della Repubblica. Ce lo chiede l’Europa.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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