L’Europa riveduta e corretta da Mario Draghi ed Enrico Letta…

Ma come mai questi soloni non l’hanno pensato prima?

Balza alla mente che vi sono intelligenze ambiziose per tutte le stagioni, nonostante le loro esperienze pubbliche abbiano dato, nel recente passato, pochi risultati e quando sono assurti a ruoli di responsabilità abbiano rassegnato una cattiva prova di sé, sia per i loro studi non portati a compimento (vedi Draghi con le collaborazioni con Federico Caffè) che per le loro ragionate ed approfondite iniziative senza essere accompagnate da adeguate personalità (vedasi Enrico Letta).

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Di qui il limite, che in questi casi rileva, è dettato, in questi giorni, da incarichi istituzionali di provenienza europea, conferiti a Letta e Draghi per delineare i prossimi orientamenti da seguire rispetto a questa crisi che attanaglia l’Europa, nella sua versione politica e culturale, economica ed antropologica.

Per cui due cosiddetti europeisti, come Letta e Draghi, dopo avere perorato per anni il valore di un continente che nel sistema multipolare universale doveva fungere da protagonista ed invece ha prestato il fianco, per fiacchezza e miopia, ad un declino irreversibile.

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L’Europa, come forza politica che come fragilità economica, dimostra, proprio oggi, che bisogna prendere un’altra strada, che l’assetto attuale debba subire una deviazione tale da garantire un diverso modo di coltivare la speranza dei popoli. Certo è che la vita politica ed economica del continente europeo non può più basarsi su un welfare senza freni, su un assistenzialismo sprecone, su bonus e redditi senza lavoro, su egoismi facili e millantate nuove prospettive di decrescita felice.

Le ricette per nulla convincenti

Ed allora si arriva a delle ricette, per nulla convincenti, espresse nell’odierno dibattito pubblico da Letta e Draghi, che dovrebbero condurci, attraverso un sussulto di orgoglio ed uno un scatto di fantasia risolutiva, ad una rinascita, pur parlando per conto della Von der Leyn e di Scholz, e che coinciderebbero, paradossalmente, nella parte destruens di questa Europa declinante, con le affermazioni che, per anni sono state ripetute dai sovranisti.

Ebbene dopo che tali sovranismi non erano da considerarsi dei critici a prescindere o meglio lo erano nella misura in cui tali forze politiche tentavano di difendere gli interessi di ciascuna nazione, atteso che il sistema europeo non forniva risposte plausibili alle tante istanze, che provenivano dai territori che esprimevano disagio, insofferenza, forza polemica nei riguardi di istituzioni politiche preda di una pirateria finanziaria che speculava senza costruire economie produttive e solide a tutto danno dei popoli europei.

Oggi Enrico Letta nel suo report sull’Europa si scopre critico e profferisce che «i Paesi Ue si trovano di fronte a un punto di non ritorno perché il divario con gli Usa ma anche con la Cina è tale che siamo di fronte all’ultima opportunità per agire, l’ultima finestra si apre e occorre sfruttarla». Dunque il messaggio che lancia giovedì è semplice: «L’inerzia significa declino».

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La doppia transizione

Ed allora Letta, nipote del Gianni berlusconiano, prova a promuovere una via d’uscita, laddove nel report spiega che «L’Ue deve essere capace di trovare i finanziamenti necessari per la doppia transizione come hanno fatto gli Stati Uniti con l’Inflation Reduction Act (Ira), ma anche per difesa e sicurezza: «Abbiamo uno scopo essenziale ed è il cuore del report — ha spiegato Letta —: come fare in modo che l’integrazione del Mercato unico possa diventare un game changer all’interno di un tema maggiore. E il tema maggiore è come mobilitare i risparmi degli europei perché possiamo arrivare a un soggetto enorme, e cioè fare in modo che la transizione avvenga bene e con i finanziamenti necessari. In due parole è il modo di dire che non solo gli Stati Uniti sono capaci di fare il loro Ira».

I risparmi privati non saranno sufficienti a soddisfare le esigenze di finanziamento future, serviranno anche fondi pubblici. Centrale sarà il ruolo degli aiuti di Stati. Nel rapporto Letta spiega che «sbloccare gli investimenti privati e affinare il nostro approccio agli aiuti di Stato faciliterà la creazione delle condizioni politiche necessarie per liberare un’altra dimensione critica: gli investimenti pubblici europei». Propone di «immaginare un meccanismo di contribuzione agli aiuti di Stato, che richieda agli Stati membri di destinare una parte dei loro fondi nazionali al finanziamento di iniziative e investimenti paneuropei». Un’ipotesi però difficile da far digerire per il momento a una parte dei Paesi Ue.

Il mondo di oggi e di domani

Ebbene questo teorizzare à la Enrico Letta si incastra con il rapporto sulla competitività redatto da Mario Draghi, nel quale l’autorevole economista, che per tanti anni ha tradito le aspettative sia dei suoi tifosi, sia degli interessi per i quali gli era stato affidato il compito di tutelarli, si rivolge, oggi, a tutti i protagonisti del sistema europeo (Stati, Banche, Istituzioni europee) affinchè l’Europa cambi passo e si proietti nel futuro con nuovo sistema di cooperazione e coordinamento per sopperire alla frammentazione dei mercati ed a quelle istituzionali.

In tal senso Draghi dichiara che l’Europa, che ha contribuito a costruire pure lui e che fa acqua da tutti i lati e per svariati motivi, deve reinventarsi per rispondere alle sfide di Usa e Cina. Sicché conclude: «Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani». Cosa vuol significare ?… boh !?

Ed ancora sul punto molti si chiedono: come mai questi Soloni non l’abbiano pensato prima ? … come sarà possibile ri-costruire un’Altra Europa quando coloro che oggi la proietterebbero in un futuribile risolutivo, sono gli stessi che l’hanno fatta fallire ? …ed ancora con quanta credibilità e forza persuasiva questi Soloni intendono «narcisisticamente» riproporsi come soggetti utili per ricreare l’avvenire dei popoli europei nel loro stare insieme e collaborare proficuamente?

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