Conte all’angolo: rimpasto e verifica. Ma intanto lo spettro di un governissimo si avvicina

«Deve valutare, lei e non altri, se i singoli ministri sono adeguati alle emergenze che stiamo vivendo e sempre a lei chiedo la verifica, visto quello che si legge, della tenuta della maggioranza». Il premier Giuseppe Conte ha da poco finito in Senato la sua informativa sul nuovo Dpcm di domenica scorsa, prima era stato alla Camera, quando il presidente dei senatori del Pd Andrea Marcucci indica al presidente del Consiglio la road map da seguire: rimpasto e poi verifica.

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Lo avevamo scritto ieri. Gli scenari politici intorno a Conte sono in movimento. La recrudescenza dell’epidemia, la crisi sociale che sta attraversando il Paese con manifestazioni che si susseguono in tutta Italia, il timore di un altro lockdown e di un crollo dell’economia, e infine la progressiva riduzione della maggioranza con le continue defezioni di deputati ma soprattutto di senatori, non possono non avere ripercussioni sul quadro politico.

E così Andrea Marcucci, quelli che molti considerano il renziano di ferro ma che è rimasto nel Pd non condividendo, così afferma pubblicamente, la scelta fatta da Matteo Renzi, squarcia il velo e chiede a Conte di valutare i suoi ministri e poi di avviare la verifica della maggioranza. Non un fulmine a ciel sereno.

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Già martedì scorso nella riunione dei capigruppo di maggioranza a Palazzo Chigi sia Marcucci e sia Delrio avevano spiegato al premier che così non si poteva andare avanti.

Il gesto e le parole di Marcucci rappresentano però un’irritualità in questo momento, un attacco che in pochi si attendevano e che soprattutto viene da quel partito che non più di qualche giorno fa aveva salutato con soddisfazione l’ipotesi di un patto di legislatura. E anche se dopo Marcucci sarà costretto alla retromarcia, spiegando che non ha mai parlato di rimpasto né di un cambio a Palazzo Chigi, è evidente che il dado è tratto.

Andrea Marcucci

Quello che però non appare subito evidente è che l’affondo di Marcucci ha anche un altro obiettivo, oltre indebolire Conte: Zingaretti. Non è un caso che subito dopo l’intervento di Marcucci in tanti nel Pd intervengano per smentire il loro capogruppo, a partire dal suo vice Mirabelli. E che lo stesso Zingaretti parli, chiarendo che «il sostegno del Partito Democratico a questo Governo e ai suoi ministri è pieno e totale. Non in discussione. Posizione ribadita, tra l’altro, all’unanimità alcune ore fa dalla direzione nazionale sul voto della mia relazione».

Zingaretti

Le parole di Marcucci indeboliscono non solo Conte ma anche Zingaretti

Interventi che però non riescono nascondere che l’altro che esce indebolito da questa giornata è proprio Zingaretti. Lui che dalle elezioni era uscito come il vincitore indiscusso e che da allora si era seduto a capotavola dando le carte del gioco. L’uscita di Marcucci certifica che nel partito, ma soprattutto in Parlamento, esiste una linea diversa da quella del segretario. O quantomeno un malessere espresso da chi non si fida di questo governo e di alcuni suoi ministri, che è stanco di portare avanti questo progetto politico ma di rimanere inchiodato sempre agli stessi sondaggi.

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Quindi, è arrivato il momento di rimescolare il mazzo di carte, appunto rimpasto e verifica. E se queste dovessero andare male, allora cambiare il mazzo di carte e intavolare una nuova partita. E’ evidente che molto, se non tutto, dipenderà dall’evoluzione della pandemia, perché un nuovo lockdown renderebbe tutto molto più impraticabile. O quantomeno allungherebbe i tempi.

In questo scenario l’opposizione potrebbe giocare una parte importante. Sempre nel suo intervento Marcucci spiega che tocca a Conte «l’onere di coinvolgere le opposizioni. Le opposizioni devono avere un luogo dove si possano confrontare con governo e maggioranza e sta a lei individuarlo. Sia un comitato di salvezza nazionale o altro, signor presidente, valuti lei come coinvolgere le opposizioni. Serve un luogo di confronto con la maggioranza, che sia una bicamerale, un comitato di sicurezza nazionale o un altro organismo».

E se fosse proprio il governo? Questo Marcucci non lo dice, e non può dirlo anche perché in questo ultimo caso non potrebbe essere Conte il protagonista, ma piuttosto una persona dall’altissimo profilo istituzionale capace di unire quello che in Parlamento è al momento profondamente diviso.

Salvini: «Centrodestra è pronto a collaborare, ma non ci interessa mezza poltrona»

Matteo Salvini intervenendo al Senato dopo Marcucci ha detto che «il centrodestra è pronto a collaborare, ma non ci interessa mezza poltrona, vogliamo dare idee, commissioni e bicamerali non ci interessano», mentre la capogruppo di Fi al Senato, Anna Maria Bernini, è più cauta: «Telefonateci, siamo sempre disponibili alla collaborazione, l’importante è che ci ascoltiate».

Fratelli d'Italia Centrodestra
Tajani, Meloni e Salvini

Meloni: «Noi ci siamo sempre, per dare una mano all’Italia, non certo a questo governo»

E Fratelli d’Italia? Giorgia Meloni a Tg2 Post ribadisce la linea chiara che finora ha contraddistinto il partito e che gli ha consentito di guadagnare consensi: «Con gli appelli non ci facciamo niente. Noi vogliamo i fatti. Stamattina Conte è venuto in Italia a parlarci di un Dpcm che tutti conoscevano perché lo aveva già illustrato in una conferenza stampa qualche giorno fa. Ci sarebbe piaciuto, invece, che questo Dpcm si votasse oggi in Parlamento… Noi ci siamo sempre, per dare una mano all’Italia, non certo a questo governo, che prima va a casa e meglio è…».

Sarà la pandemia a dettare i tempi e quali scenari si materializzeranno. Ma da ieri Conte non può più far finta di nulla e soprattutto non può più pensare di gestire il governo come la Fase 1 dell’epidemia con i like e i social.

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