Franceschini lancia la stagione delle riforme ma in Parlamento siamo già all’inverno

C’è voluta un’intera giornata perché giungessero le prime ufficiali repliche alla proposta lanciata da Dario Franceschini in un’intervista a La Stampa sull’ipotesi di dedicare quello che resta della legislatura (poco meno di 3 anni) alla riforma della Costituzione. E magari coinvolgendo anche ‘la Destra’.

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Beh, detta così non è certamente un bell’inizio per avviare una stagione riformista. Un silenzio penetrante che è durato per tutta la giornata, tra il disinteresse, il disappunto e la voglia di non scoprire ancora le proprie carte, che soltanto a tarda sera viene spezzato.

E dire che l’offerta arrivava da un pezzo da novanta del Pd, uno di quelli capaci di spostare gli equilibri e di segnare la nascita e la fine delle segreterie: Veltroni, Bersani, Renzi e adesso Zingaretti.

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Ma tant’è che nessuno rilancia quanto offerto da Franceschini. Bocche cucite e sguardi rivolti altrove. Nemmeno dagli alleati di governo che avrebbero tutto l’interesse ad allungare la Legislatura, continuando a stare al governo e quindi dare le carte. E questo soprattutto indipendentemente dal risultato delle elezioni regionali.

Franceschini: «Maggioranza e opposizione diano spinta per riforme costituzionali»

Ma andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro della giornata di ieri, tornando a ieri mattina quando le rassegne stampa e le agenzie iniziano a rilanciare le dichiarazioni di Franceschini. «Se al referendum vincerà il Sì, come penso, – spiega Franceschini nell’intervista – sarebbe intelligente per maggioranza e opposizione prendere quel voto come una spinta a fare le riforme costituzionali necessarie. So già che adesso riceverò molti no, ma credo ci saranno ripensamenti dopo il 21 settembre».

Dario Franceschini Dl Scuola
Dario Franceschini

Una mano tesa perché «abbiamo sperimentato tutti, misurandoci col governo del Paese, che il sistema non funziona bene come dovrebbe: visto che il taglio dei parlamentari ha un gradimento trasversale, sia l’avvio di un periodo di riforme per mettere in condizione chi vincerà la prossima volta di misurarsi con un sistema che funziona».

Franceschini: «Regionali? Governo comunque andrà avanti»

E naturalmente questa stagione delle riforme non può prescindere dalla continuazione dell’attuale governo, anche se queste elezioni regionali dovessero registrare una pesante battuta d’arresto per le forze di maggioranza: «Stiamo lavorando perché le cose vadano bene. Ma comunque il governo andrà avanti. In Italia si vota continuamente per amministrative, regionali, referendum. Non è possibile che ogni turno elettorale mini la stabilità dei governi, lo dico per la tenuta del sistema».

Lanciato il sasso da Franceschini lo stagno della politica rimane desolatamente silenzioso. Come detto nessuno dei big interviene, né all’interno del Partito dove il Pd sembra occupato da altro (Recovery Fund su tutto), né nel M5S sottoposto alle convulsioni della scelta delle futura leadership e tantomeno le forze del Centrodestra impegnate nella campagna elettorale.

Brutto segnale a conferma del momento di confusione che sia il Pd e sia la maggioranza vivono in questo momento. In altre circostante un’uscita quale quella di Franceschini, numero due del Pd, avrebbe avuto altra accoglienza. Invece, stavolta tutti zitti.

Zingaretti: «Vogliamo aprire una stagione di riforme per l’Italia»

Nicola Zingaretti

A sera il silenzio viene squarciato all’interno del Pd da Nicola Zingaretti, che prendendo a pretesto il via libera del Senato della riforma del diritto di voto attivo, di cui diremo tra breve, dice: «Vogliamo aprire una stagione di riforme per l’Italia. Bene il voto di oggi per consentire anche ai giovani dai 18 anni di eleggere i senatori. Con approvazione definiva entro l’anno si realizzerà un impegno atteso da tempo».

Di Maio: «Sono d’accordo con Franceschini, apriamo un processo di riforme»

Luigi Di Maio

Franceschini non è citato, ma l’appello alla stagione delle riforme sembra andare nella direzione indicata dal ministro della Cultura. Invece è Luigi Di Maio a rispondere a Franceschini raccogliendo la sua proposta: «Sono d’accordo con Franceschini, che dice che con il sì si inizia un processo di riforme», per poi concludere che con il sì al referendum sul taglio dei parlamentari su cui si è schierato il Ps «si rafforza l’alleanza di governo».

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Insomma, a sera il bottino di Franceschini rimando comunque abbastanza magro. Soltanto Zingaretti, che peraltro non lo cita, e Di Maio, che però riguardo l’apertura all’opposizione non fa alcun cenno, riprendono le parole del ministro della Cultura. Se quindi dovessimo fermarci a queste prime reazioni l’avvio di una stagione delle riforme rappresenta un cammino tutto in salita.

In effetti il tema della stagione delle riforme rappresenta un evento ciclico nella storia repubblicana, soprattutto quando all’orizzonte si palesa il rischio dell’implosione della maggioranza di governo e della stessa Legislatura. E quindi quasi come se fosse un automatismo ci si appella alla stagione delle riforme, per evitare di andare al voto e di allungare la vita parlamentare stessa.

E viene da chiedersi come sia possibile ad un Parlamento incapace di articolare una normale dinamica politica in chiave di governo, possa farlo nell’ambito della riforma della Costituzione che è di gran lunga un passaggio più delicato e complicato. E dove agli interessi di parte devono prevalere quelli generali. Il che conferma la strumentalità con cui questa stagione delle riforme viene costantemente reiterata a ogni legislatura.

Ieri a Palazzo Madama la maggioranza si divide sul diritto di voto passivo a 25 anni per il Senato

E se qualcuno avesse qualche dubbio basterebbe che desse uno sguardo a che cosa è accaduto ieri in Senato sul voto sulla riforma costituzionale, per l’appunto, sul voto ai diciottenni. In teoria una riforma senza alcun problema, votata già alla Camera, e che abbassa a 18 anni il diritto di voto al Senato. Su questo però la maggioranza è stata capace d spaccarsi, prima in Commissione e poi in Aula.

Pomo della discordia un emendamento che abbassava non solo il diritto di voto attivo ma anche quello passivo da 40 a 25 anni. Emendamento addirittura votato in Commissione ma su cui all’ultimo sia il Pd e sia il M5S decidono per lo stralcio. Il timore dei due partiti è che salti l’intero provvedimento visto che qualora la modifica venisse approvata in Aula farebbe ripartire daccapo l’iter costituzionale che come sappiamo prevede 4 passi. Troppo rischioso, quindi, che si arrivi alla fine della Legislatura senza aver dato l’ok definitivo.

Italia Viva decide di astenersi come il Centrodestra

Così Pd e M5S chiedono lo stralcio. Ma a puntare i piedi è Italia Viva che alla fine non voterà in Aula in polemica con gli alleati di governo: «Togliere la parte sull’abbassamento dell’età per l’elettorato passivo, preclude la possibilità di rinnovare la classe dirigente parlamentare del nostro Paese. E per di più viene meno all’accordo di maggioranza sulle riforme, che aveva espressamente previsto questo punto».

Alla fine con 125 sì e 82 astenuti (tutto il Centrodestra e Italia Viva) la riforma passa e ora spetterà alla Camera votare il terzo passaggio. Un risultato che in effetti nasconde lo scollamento della maggioranza e conferma quanto detto prima e cioè che se sul piano politico la legislatura stenta per quale ragione questa dovrebbe trovare slancio sul piano delle riforme costituzionali?

Quello che è certo è che se davvero Franceschini sperava con la sua intervista di avviare una ‘calda’ stagione per ora deve accontentarsi di un freddo, e forse lungo, inverno.

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