Gli anni ’80, il debito pubblico e la madre di tutte le fake news…

Nel 1981 avevo 14 anni, frequentavo il primo anno all’ I.T.C S. Quasimodo, facevo pattinaggio e ci allenavamo alla passeggiata “ammare”, come diciamo a Messina, con la mitica squadra del sig. Jaci, oltre che “schettinare” per le strade della città di allora, che erano meglio di quelle di adesso a dire il vero…

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Le radio mandavano i Queen con Another one bites the dust e a Sanremo c’era Paolo Barabani, ricordate “Hop hop hop somarello”, ipnotizzante motivetto che ancor oggi se inizio a canticchiarlo non la smetto più, gli U2 pubblicavano October e l’elenco sarebbe lungo da fare, riguardo la qualità della musica di quegli anni. La benzina sfiorava le mille lire al litro, gli stipendi medi erano intorno alle 450 mila lire e un chilogrammo di pasta costava 750 lire, mentre il telefono di casa rigorosamente Sip, spesso, aveva il lucchetto…

Nel 1981 il Ministro del Tesoro era Beniamino Andreatta, allora democristiano poi passato nel centrosinistra con Prodi formando l’Ulivo, il Governatore della Banca d’Italia invece era Carlo Azeglio Ciampi che poi sarebbe diventato Presidente della Repubblica; entrambi, sono i protagonisti assoluti del “divorzio” tra Istituzioni più veloce che il nostro paese possa vantare. I

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l 12 febbraio del 1981 il ministro Andreatta scrisse una lettera al Governatore Ciampi, lettera che di fatto decretò il “divorzio” tra le due istituzioni più importanti della Repubblica e dello Stato italiano. Non ci fu una legge e nemmeno un decreto ministeriale che Andreatta in una intervista al Sole 24Ore nel 1991 liquidò così: «nato come “congiura aperta” tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso soprattutto sul mercato dei cambi abolire per ritornare alle più confortevoli abitudini del passato».

Gli effetti furono devastanti, il divorzio si concretizzò nel luglio 1981, quando la Banca d’Italia non fu più ‘obbligata’, come «prestatore di ultima istanza», a coprire/acquistare i titoli di Stato non assorbiti dagli investitori privati. L’Italia, aveva di fatto rinunciato alla propria sovranità monetaria. Tra l’altro, sarebbe venuto meno il meccanismo che sosteneva e garantiva il finanziamento della spesa pubblica e la creazione della base monetaria, nonché la crescita dell’economia reale…

Dopo il fulmineo ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro, lo Stato per “finanziarsi” ha dovuto collocare i propri titoli sul mercato finanziario privato, e nel caso in cui non fossero stati venduti, sarebbe come lo è stato, ‘obbligato’, materialmente ad alzare i tassi di interesse per rendere i titoli più appetibili. Quello che inevitabilmente successe fu l’esplosione degli interessi passivi e l’aumento vertiginoso del “debito pubblico”, per darvi un idea, nel 1981 pagavamo 28,7 miliardi di interessi passivi, nell’anno successivo ne abbiamo pagati 39, e dopo 10 anni siamo arrivati a 147 miliardi di lire annui di interessi passivi, soldi tolti all’economia reale per andare ad ingrassare quella virtuale dell’alta finanza…

Tra il 1992 ed il 2002, con la firma del Trattato di Maastricht e la definitiva introduzione dell’Euro il Paese si legò mani e piedi, rinunciando ad ogni e qualsiasi possibilità di poter decidere la propria politica economica e monetaria, avendo accettato di entrare a far parte della moneta unica e rinunciando alla propria “sovranità monetaria”, quindi in un meccanismo di “moneta a debito”.

Mentre erano in corso questi “cambiamenti” sempre portati avanti dal “centrosinistra” il sig. George Soros approfittò dello stato di “confusione” che aleggiava sul nostro Paese ed il 16 settembre del 1992 effettuò la più grande speculazione finanziaria sulla nostra moneta mai attuata, che portò nelle sue tasche 15 mila miliardi di lire, costringendo la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve dello Stato per sostenere il cambio che portò alla svalutazione della nostra lira di oltre il 30% e l’estromissione dal sistema monetario europeo, “il mercoledì nero” venne definito nella storia dell’economia Europea.

Per rientrare nel sistema, l’allora Presidente del Consiglio Amato fece due finanziarie lacrime e sangue per gli italiani per quasi 100 miliardi di lire, e per la prima volta fece la sua comparsa l’ici, la tassa sulla casa. Mentre appena due mesi prima, nella notte tra il 9/10 luglio del 1992 aveva autorizzato il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani pari al 6/1000 per far bilanciare i conti.

Una nota di “colore” a Geoge Soros, qualche anno dopo, l’Università di Bologna diede la laurea Honoris Causa e pezzi delle istituzioni e dello Stato andarono a congratularsi con lui, in primis a stringergli la mano non poteva mancare Romano Prodi, quando le voci di un coinvolgimento della Bundesbank tedesca, nella speculazione portata avanti dal finanziere era già data per certa, nessun finanziere d’assalto avrebbe avuto il potere di mettere in ginocchio un grande Paese come l’Italia senza una sponda politica esterna. Lo stesso George Soros che oggi con la sua Open Society vorrebbe controllare il mondo e di cui la Bonino, ad esempio, è una estimatrice mentre Gentiloni lo ha ricevuto in visita “privata” come Presidente del Consiglio.

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Ma in quel 1992 altri avvenimenti hanno segnato la storia ed il futuro del nostro Paese, come il “summit” tenuto sul panfilo “Britannia” della Regina Elisabetta II d’Inghilterra, il 2 giugno 1992, al quale parteciparono i più importanti banchieri, finanzieri e uomini d’affari mondiali, tra i quali: George Soros, il presidente della Banca Warburg, Herman van der Wyck; il presidente dell’Ina, Lorenzo Pallesi; il direttore esecutivo della Barclays de Zoete Wedd, Jeremy Seddon; il direttore generale della Confindustria, Innocenzo Cipolletta; i rappresentanti di Goldman Sachs, e… Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, insieme a Beniamino Andreatta, allora dirigente di ENI, che nel giro di nemmeno un mese sarebbe divenuto Ministro al Bilancio del primo governo Amato e Riccardo Galli dell’IRI.

Durante l’incontro decisero, tra l’altro, di privatizzare le aziende di Stato IRI, ENEL ed INA. Cosa che venne attuata nel luglio successivo dal governo tecnico di Giuliano Amato con il decreto 333/1992 che trasformò proprio in S.p.A. le suddette aziende, nel contempo il tritolo faceva a pezzi Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte e, Scalfari, diventava Presidente della Repubblica, l’uomo del «io non ci stò». Questo era lo scenario di cosa stessero vivendo gli italiani allora, e mentre vivevano tutto questo, mentre erano “distratti” da questi eventi, loro si spartivano gli asset migliori del Paese e le sue aziende pubbliche dando vita a quelle privatizzazioni che avrebbero sottomesso gli italiani alla finanza mondiale. Da quel momento il ricorso alla moneta a debito diventò l’unico modo per lo Stato di finanziarsi, ed il debito pubblico lievitò di giorno in giorno, poi arrivò Mani Pulite, ma quella è un’altra storia…

Il nostro paese dal 1992 è in avanzo primario (la differenza tra le entrate e le spese delle amministrazioni pubbliche, escluse le spese per interessi passivi), ciò significa che il nostro è un paese virtuoso e non come vogliono farci credere dedito ai debiti ed allo scialacquamento, e che risparmiamo nonostante tagli ai servizi, al welfare, alla spesa pubblica, ma nonostante questo il debito pubblico continua a salire, non può essere altrimenti. Non si può ripagare un debito di moneta con un’altra moneta presa a debito, è impossibile.

Questo significa solo una cosa che siamo in mano agli “usurai”, ci hanno inculcato così bene e profondamente il senso di colpa del debito che non riusciamo a vedere la via d’uscita, il ritorno alla sovranità monetaria è l’unica. Sia chiaro, “Essi” continuano a sbandierare come un problema quello del “debito pubblico” ma, non converrebbe neanche a loro che noi lo saldassimo non avrebbero più i quasi 90 miliardi l’anno di euro di interessi che paghiamo, e non avrebbero più un Paese come l’Italia sottomesso.

Mettiamola così, siamo al punto in cui si lavora, si produce, si risparmia, tiriamo la cinghia e tagliamo le spese “voluttuarie” ma anche quelle per il welfare, la scuola, la sanità, la sicurezza e la pubblica amministrazione e poi ci lamentiamo che non funziona, svendiamo i nostri asset e le nostre aziende pubbliche migliori e ci dicono che bisogna farlo per ripagare il debito, eppure il debito aumenta e la cinghia non ha più fori per stringere ancor di più.

Il punto è che i processi decisionali politici non sono più diretti a tutelare gli interessi della popolazione e del paese/territorio, essendo quest’ultimi sotto il controllo reale degli interessi economici finanziari di privati e burocrati che siedono nella Commissione €uropea (il vincolo esterno). Da soli o in gruppi ben definiti, molto più potenti degli stati sovrani, in quanto hanno in mano la moneta, che stampano dal nulla per poi prestarcela.

Due note di colore, i soldi non crescono sugli alberi e non si scavano nelle miniere, ricordiamocelo, i soldi si stampano e il loro limite è la carta e l’inchiostro necessari. L’inflazione ed il cambio sono aspetti tecnici di cui dovrebbe occuparsi o tornare ad occuparsi la nostra politica. La Bce è una di quelle strutture “sovranazionali”, appartiene ai privati e stampa moneta che poi ci presta dietro garanzia dei nostri titoli di stato, con gli interessi in nome di una Unione €uropea che non è nient’altro che la rappresentazione dei mercati finanziari, non ha una Costituzione e quindi non è uno Stato, né una federazioni di Stati, ed i cittadini sono obbligati a rispettare Trattati patti e convenzioni che non sono altro che dei semplici “contratti”, pieni zeppi di clausole vessatorie.

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