Centrosinistra sempre più in crisi
Gli Stati generali dell’Economia di villa Pamphili; poi il taglio dell’Iva; e ancora il decreto legge Semplificazioni; le alleanze per le elezioni regionali; e adesso la legge elettorale. Non passa giorno che il Centrosinistra non trovi un motivo per dividersi e per litigare, a testimonianza che la maggioranza è ormai soltanto di nome ma di fatto non esiste più. Sbrindellata sotto il peso delle sue contraddizioni, incapace alla prova decisiva della Fase3 di avere una visione e una strategia per far uscire il Paese dalla crisi.
La riforma della legge elettorale divide la maggioranza
Lo avevamo scritto ieri il prossimo motivo di scontro e divisione sarebbe stata la legge elettorale. E infatti così è stato. Messo per un attimo da parte il dl Semplificazioni e dimenticato, colpevolmente, che gli italiani attendono risposte per uscire dalla crisi, il Centrosinistra ha dato prova della sua mancanza di unità sull’ipotesi di riforma della legge elettorale.
Pomo della discordia la calendarizzazione per il prossimo 27 luglio la discussione in Aula alla Camera sulla legge elettorale. Qui il Centrosinistra aveva trova un’intesa su un sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento. Eravamo a gennaio e la maggioranza aveva tenuto fede all’impegno preso a settembre, quando nacque il governo, di varare una nuova legge elettorale che mettesse definitivamente in soffitta il Rosatellum.
Addio al maggioritario e alle coalizioni per frenare l’ondata sovranista
Niente maggioritario, tutto proporzionale. Un ritorno al passato gettando alle spalle venti anni di coalizioni, candidati premier e programmi. Ma soprattutto mettendo in soffitta il mantra «la sera delle elezioni sapremo chi ha vinto». Un’inversione copernicana voluta per frenare l’ondata sovranista, che ancora a gennaio gonfiava i serbatoi elettorali della Lega. Un ritorno al passato, a quella democrazia parlamentare, e anche un po’ consociativa, dove i governi erano frutto di attente alchimie parlamentari dove le ali più estreme rimanevano eslcuse.
Ecco però che dopo sette mesi e una pandemia nel frattempo il quadro è cambiato. A mettersi di traverso Italia Viva che con Matteo Renzi senza troppi giri di parole boccia l’attuale riforma per una legge elettorale maggioritaria, «in modo che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto».
Renzi: riforma della legge elettorale non è una priorità
Una riforma che però per il leader di Italia Viva «non è una priorità», perché per la politica «deve essere la crescita, non la legge elettorale». Ma «se proprio deve essere discussa, noi continuiamo a essere per l’unica legge elettorale che funziona: quella dei sindaci. Preferirei, tuttavia, vedere il Parlamento discutere di cantieri e non di collegi».
Parole che hanno destato l’immediata reazione del Pd che con Emanuele Fiano ha fatto notare: «Questo Governo esiste anche perché c’è un accordo: taglio dei parlamentari e nuova legge elettorale a garanzia della dialettica democratica. Il taglio dei parlamentari si è votato, la legge elettorale no. Ne abbiamo già discusso per cinque mesi e Italia Viva ha proposto e sottoscritto l’attuale testo. Ora votiamolo in fretta».
Zingaretti: su legge elettorale scelte fatte insieme
Irritazione che arriva anche all’ultimo piano di largo del Nazareno dove Nicola Zingaretti tuona: «Mi auguro che non ci sia polemica, perché tutte le scelte le abbiamo fatte insieme. E non è una distrazione, perché quando ci si preoccupa di tutelare la democrazia non si è mai distratti. Ad agosto 2019 abbiamo deciso insieme per il taglio del numero dei parlamentari e di darci regole per evitare che quel taglio facesse correre rischi per la democrazia. Insieme abbiamo presentato un testo di legge come maggioranza, aperto al confronto con l’opposizione».
In effetti la retromarcia renziana ha una ragione evidente e cioè la sopravvivenza del partito stesso. Infatti Renzi sa benissimo che una legge elettorale con uno sbarramento al 5 per cento sarebbe la morte elettorale certa, visti i miseri consensi che i sondaggi tributano a Italia Viva. Chiara quindi la virata sul sistema maggioritario dove anche percentuali da prefisso telefonico possono essere fondamentali per vincere un collegio.
Non solo Renzi ma anche Conte frena sulla riforma della legge elettorale
Ma Renzi non è l’unico a frenare su una riforma in senso proporzionale. Tra questi c’è il premier Giuseppe Conte che naturalmente non ha alcun interesse a una legge elettorale che non dia più spazio alle leadership e alle coalizioni, trasferendo tutto il potere sui partiti. E’ evidente che in un simile scenario sarebbe messo fuori gioco. Naturale che anche lui sia tra quelli che non hanno interesse a una riforma proporzionalista.
Senza dimenticare che se almeno alla Camera venisse approvata la riforma elettorale il Pd avrebbe nelle sue mani la polizza vita per la continuazione della legislatura anche in caso di crisi di governo. Infatti, è il ragionamento che in questi giorni viene fatto, se l’attuale governo cadesse ma almeno in un ramo del Parlamento fosse stata approvata la riforma della legge elettorale ci sarebbe un buon motivo per chiedere a Mattarella di continuare la legislatura e di esperire tutte le strade per un nuovo governo.
E naturalmente, considerando che c’è un altissimo numero di parlamentari che non sarebbero eletti in caso di nuove elezioni, ci sarebbe possibilità per dare vita a un nuovo governo anche senza Giuseppe Conte. Tutti ingredienti che spiegano l’evasività con la quale Conte avrebbe risposto nell’incontro dell’altro ieri a Zingaretti alle sollecitazioni di quest’ultimo sulla riforma della legge elettorale.
Ecco servito, quindi, l’ennesimo scontro nella maggioranza che rischia di sommarsi ai tanti fronti aperti nelle ultime settimane. L’ultimo il dl Semplificazioni che nei piani di Conte doveva andare in Consiglio dei ministri già l’altro ieri e che invece rimane inchiodato dai veti incrociati dei vari partiti. Il preconsiglio di due notti fa, infatti, non ha risolto i nodi e i partiti stanno cercando di trovare una via d’uscita.
Speranza: dl Semplificazioni andrà in Consiglio dei ministri a inizio settimana
E questo a dispetto delle dichiarazioni del ministro della Salute, Roberto Speranza, il quale a Tg2 Post spiega: «Il dl semplificazioni sicuramente andrà in Consiglio dei ministri lunedì o comunque all’inizio della prossima settimana. C’è grande convergenza sull’idea di un provvedimento che possa semplificare la vita delle persone e aiutare il nostro paese e la nostra economia a correre di più».
Appunto, convergenza «sull’idea di un provvedimento che possa semplificare» ma le divisioni riguardano il merito e cioè l’estensione del ‘modello Genova’ a tutte le opere pubbliche; ma anche la deroga della norma sulle gare sopra la soglia dei 5 milioni di euro. Comunque sarà un week end di passione in attesa che lunedì, come annunciato dal ministro Patuanelli, ci sia il Consiglio dei ministri per il varo definitivo.
Oggi alle 10 manifestazione del Centrodestra a Roma in piazza del Popolo
Il week end invece porterà bene al Centrodestra che oggi a piazza del Popolo si ritroverà unito per manifestare contro il governo. “Insieme per l’Italia del lavoro” questo il titolo dell’iniziativa che vedrà sul palco nell’ordine intervenire Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Una manifestazione a prova di contagio, a numero chiuso (circa 4500 persone sedute al loro posto) con mascherine e misurazione della temperatura all’ingresso della piazza da piazzale Flaminio. Appuntamento per le 10.
Chiaro il messaggio politico di unità che piazza del Popolo darà dinanzi a un Centrosinistra ogni giorno sempre più diviso e a un governo che dopo 10 giorni di Stati generali non ha presentato un piano, che ha già abbandonato l’idea di taglia l’Iva e che da tre giorni rincorre una sintesi per varare un decreto che dovrebbe semplificare.
Senza dimenticare la partita delle regionali dove il Centrodestra si presenta compatto e la maggioranza di governo divisa. E ci vorrà ben altro che il “vergogna” di Zingaretti, che oggi ha rivolto in un tour elettorale nelle Marche, per convincere il M5S all’unità.
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