Il Centrodestra parla ma il governo è sordo. E non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire

Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. L’antico adagio napoletano (qui tradotto in italiano) sembra adattarsi perfettamente per descrivere i rapporti attuali tra opposizione e governo. Da un lato il Centrodestra che continua a chiedere collaborazione vera e non semplice vetrina, e dall’altro il governo, appunto il sordo che non vuole sentire, che si dice pronto ad ascoltare le richieste dell’opposizione ma che nei fatti poi continua ad andare avanti per la propria strada.

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Con questi presupposti era chiaro che il primo tavolo di lavoro convocato ieri tra Centrodestra e governo terminasse in un nulla di fatto. Anzi con una richiesta ben precisa dei tre partecipanti per Fratelli d’Italia alla riunione, i capigruppo di Camera e Senato Lollobrigida e Ciriani e il responsabile del programma Fazzolari: «Chiediamo che come primo atto concreto della volontà da parte del governo di non limitare il tavolo di confronto con l’opposizione a mera vetrina o punto di informazione sull’attività dell’Esecutivo, ci sia l’accoglimento dell’emendamento presentato al decreto ‘Cura Italia’ in cui si stabilisce la possibilità di utilizzo dei voucher».

L’opposizione: «Vogliamo la prova che il governo non ci prende in giro»

Senso delle parole molto chiaro: vogliamo la prova che il governo non ci stia prendendo in giro e perciò pretendiamo un gesto concreto. Ma che ci sia difficoltà dalle parti di FdI a capire se Palazzo Chigi stia facendo sul serio lo dimostra anche quello che a sera Giorgia Meloni ha detto in un’intervista al Tg5: «Sono rimasta abbastanza stupita da una intervista del presidente del Consiglio Conte in cui dice che le nostre proposte sarebbero pretestuose e irrealizzabili. Non più tardi di ieri, infatti, c’è stata chiesta maggiore collaborazione e siamo stati ringraziati per la serietà delle nostre proposte però, evidentemente, il governo preferisce fare propaganda».

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E anche Silvio Berlusconi a Tg2 Post ha spiegato: «Dal primo giorno ho detto che è momento di collaborare tutti insieme e non ho mai cambiato idea. Ma occorre che la disponibilità del governo a collaborare non sia solo formale, di facciata. Finora siamo stati chiamati solo a prender atto di decisioni già assunte».

La maggioranza sente odore di elezioni e vuole gestire le risorse da sola

In effetti c’è un non detto in tutta questa vicenda che però giorno dopo giorno appare sempre più chiaro. All’interno della maggioranza (leggasi Pd) c’è la consapevolezza che questa emergenza non sarà infinita e che quindi prima o poi si ritornerà alla normalità e questo significa anche a votare (prima fra tutte le Regioni). In questa fase, dunque, ci saranno tanti miliardi da gestire e questo senza dubbio peserà sugli equilibri politici ed elettorali futuri.

Nessuno lo dice, ma tutti guardano ai sondaggi e alle oscillazioni; e sempre tutti osservano come la Lega abbia subito una flessione durante questa crisi, andando sotto il 30 per cento, e il Pd sostanzialmente abbia tenuto, anzi riducendo la forbice di distacco dal partito di via Bellerio.

Sarebbe quindi impensabile consentire all’opposizione in questo momento di riconoscerle un ruolo nella gestione della ricostruzione. Di consentirle di cavalcare battaglie o peggio ancora intestarsi vittorie, soprattutto se significative. Non è un caso se Salvini nei giorni scorsi aveva sperato di dare una spallata decisiva all’attuale governo proponendone uno di unità nazionale, sperando anche nell’avallo del Quirinale, con la guida affidata a Mario Draghi.

In questo modo avrebbe avuto modo di accedere nella stanza dei bottoni e di partecipare direttamente alla gestione della ricostruzione. Tentativo fallito per l’opposizione del Pd e, forse, anche del Quirinale che non hanno voluto aprire una crisi di governo in una fase così delicata del Paese.

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Insomma, va bene la solidarietà nazionale e la condivisione ma il tutto deve avvenire in uno scenario nel quale l’opposizione continua a fare l’opposizione e la maggioranza fa la maggioranza. E quindi la maggioranza sceglie e decide tempi, modi e entità delle misure e all’opposizione viene riconosciuto un ruolo residuale. In pratica le viene assicurato di portare a casa qualche contentino, ma niente di più. Questo è chiaro soprattutto dalle parti del Pd, visto il fatto che del M5S rimane ben poco (il silenzio di Grillo e finanche di Di Battista sono eloquenti). Sta in questo non detto la ragione del cortocircuito tra maggioranza e opposizione e l’impossibilità che, come ripetono e chiedono Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, ci sia collaborazione.

E lo confermano i fatti che appunto attestano uno stallo. Il tavolo di ieri, riconvocato oggi alle 17, non è giunto ad alcuna conclusione, né entrato nel merito di alcuna questione. Ma nel frattempo governo e maggioranza vanno avanti. Ad esempio, in Senato la Commissione Bilancio ha fatto una prima scrematura degli emendamenti al dl ‘Cura Italia’ eliminando quelli improponibili per materia. Tra questi fuori anche quelli che chiedevano il ritorno dei voucher.

Un’esclusione che ha creato una levata di scudi di tutto il centrodestra e anche delle organizzazioni di categoria, a partire dalla Coldiretti. Unico emendamento superstite quello di FdI, che chiede un ritorno dei voucher ma soltanto per il periodo dell’emergenza Covid. Emendamento che, come abbiamo visto, è stato posto come condizione per continuare il confronto.

Ma la questione principale è che manca l’accordo tra le parti. O meglio si dialoga ma tra sordi. L’opposizione chiede che la maggioranza tenga fede all’impegno di trasformare gli emendamenti onerosi al decreto Cura Italia in ordini del giorno per poi recepirli come proposte nel decreto di aprile; la maggioranza invece risponde che nonostante le dichiarazioni, finora sul piano parlamentare non sono arrivati segnali significativi.

Questo sul decreto ‘Cura Italia’, ma non va meglio sul decreto Aprile di cui l’opposizione conosce soltanto i capitoli ma non le misure nello specifico. L’unica cosa chiara è che i decreti di aprile saranno due: uno per dare liquidità alle imprese, che arriverà in Consiglio dei ministri «entro lunedì», e un secondo con le nuove misure a sostegno di imprese e lavoratori che dovrebbe essere varato tra il 15 e il 16 aprile.

Riguardo il primo decreto si prevede di aggiungere una garanzia per circa 200 miliardi di credito, fino al 25 per cento del fatturato, per le imprese a partire da quelle medie e grandi: un ombrello che si aggiunge ai 100 miliardi garantiti dal fondo centrale di garanzia, che verrà ulteriormente rafforzato e semplificato, e ai 290 interessati dalla moratoria. Per il secondo si lavora a un’ipotesi di 40 miliardi con misure a sostegno di sanità, aziende, lavoratori, enti locali e famiglie.

Tutto comunque è rimandato ai prossimi giorni. Al Consiglio dei ministri che dovrebbe tenersi nel week end e a oggi con il nuovo incontro tra opposizione e governo. Primo punto chiudere la pratica del dl ‘Cura Italia’, così che mercoledì si possa andare in Aula. Poi si passerà ai due decreti. Ma tutto dipenderà dal governo, sempre se avrà deciso di sentirci per davvero.

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