Residenti ‘sequestrati’ a piazza del Plebiscito: vivibilità azzerata per i concerti

Cittadini chiedono lo spostamento dei grandi eventi in aree più idonee

«Non abusare, potrebbe farti male»; chi di noi non se l’è sentito dire almeno una volta; da bambini di fronte un gustoso barattolo di cioccolata spalmabile oppure, più grandicelli davanti una godereccia porzione di zeppole fritte e crocchè. Si sa che le cose buone rinfrancano lo spirito, peccatucci che fanno bene all’anima ma che, abusandone, potrebbero diventare cancerogeni così come sta accadendo con la messa in atto del nuovo format made in Palazzo San Giacomo, Napoli città della Musica, giunto quest’anno alla seconda edizione.

Un calendario di oltre 30 eventi, 15 dei quali spalmati nel solo mese di settembre tutti nella stessa location, piazza del Plebiscito; considerando poi le giornate di prova che anticipano l’evento, conti della serva alla mano, la piazza più importante della città resta interdetta alla libera fruizione per l’intero mese di settembre.

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E così, mentre D’Alessio, Cocciante, D’Angelo e altri friends si stanno passando il testimone di serata in serata i comitati civici hanno deciso di mobilitarsi dando il via ad una petizione per dire basta all’utilizzo di una delle piazze più grande d’Italia come palcoscenico privato. Ieri c’è stata la seconda giornata di raccolta delle adesioni; i risultati sono stati consegnati al Sindaco Gaetano Manfredi dopo un confronto con i rappresentanti istituzionali tenutosi ieri presso la sala Rosati del Gran Caffè Gambrinus di piazza Trieste e Trento. L’iniziativa mette sotto accusa l’amministrazione comunale per l’abuso sconsiderato della piazza; un filone eccessivo di eventi che stanno impattando negativamente su di una parte del tessuto sociale e urbano.

I promotori della battaglia

L’iniziativa nasce dall’alleanza di quattro realtà associative del centro storico: i comitati civici Felix, Plebiscito e dintorni, il comitato per la salvaguardia di Monte Echia e la Consulta delle Associazioni della prima municipalità. Un fronte trasversale che testimonia l’ampiezza del malcontento, esteso ben oltre i soli abitanti dell’area; «l’altra sera l’ambulanza ha impiegato 7 minuti per percorrere il tratto che va da piazza Trieste e Trento fin qui a piazza Carolina, è assurdo!» dichiara un residente; a fargli eco un passante «dovrebbero spostarsi in altre zone più fuori della città; a via Egiziaca dove abito tremava tutta la casa».

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Le organizzazioni denunciano un modello di gestione che privilegia gli interessi economici privati a scapito della fruibilità pubblica, trasformando il cuore pulsante di Napoli in un’area recintata per eventi commerciali.

Le ragioni del no

I firmatari elencano in particolare quattro criticità insormontabili quali: la libera circolazione di residenti e turisti; situazione che sta creando un vero e proprio apartheid urbano, ma anche perdite economiche di una parte delle attività commerciali che non si occupano di ricettività e somministrazione (uniche a trarne reali vantaggi), problemi di viabilità per mezzi di soccorso e l’inquinamento acustico che ha raggiunto ormai livelli intollerabili per coloro che vivono nelle adiacenze. Alcuni residenti hanno documentato con strumenti fonometrici lo sforamento di soglie del rumore oltre i 90 db, che, stando alle norme, supererebbero di gran lunga i limiti solitamente consentiti nei centri urbani.

La petizione chiede al sindaco di trovare una soluzione in grado di conciliare le due volontà e invita Soprintendenza, ASL, Prefetto e Questore a verificarne la corretta attuazione.

Le possibili alternative

Il nodo non è l’ostilità verso la cultura o l’intrattenimento, ma la ricerca di un equilibrio sostenibile. Qualcuno suggerirebbe l’ipotesi di limitare gli eventi a pagamento a un numero ridotto di serate l’anno, garantendo ampi periodi di fruibilità libera. Alternative potrebbero includere lo spostamento dei grandi concerti in aree più idonee come il Lungomare, o Bagnoli mantenendo in Piazza Plebiscito solo eventi gratuiti e di breve durata. La partita si gioca sulla capacità di immaginare una Napoli che non sia ostaggio del business, ma che sappia coniugare sviluppo e vivibilità. Le mille firme rappresentano un primo segnale che non può essere ignorato.

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