Conte e l’insostenibile debolezza di un premier

Per Conte e maggioranza oggi in Senato nuova fiducia

Sembrava che la maggioranza l’avesse scampata, mettendo in cassaforte la 27esima fiducia. E invece sarà costretta nuovamente a passare per l’Aula del Senato per ottenere la fiducia sul decreto legge Elezioni, tanto per intenderci quello che fissa a settembre le elezioni amministrative e il referendum. L’appuntamento, invece, è fissato per questa mattina alle 9.30 ma è molto probabile che i lavori si protrarranno per tutti il pomeriggio.

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Ieri mancato numero legale su dl Elezioni

Ma riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di fare chiarezza. Nel pomeriggio di ieri la maggioranza di governo sembrava aver convertito il decreto Elezioni grazie ai 149 presenti in Aula, il numero minimo per garantire la validità della seduta. Però a sera arriva la doccia gelata: il Senato fatte le dovute verifiche scopre che tra congedi, missioni e assenze il numero legale è 150 e non 149. Quindi tutto da rifare. Nuova seduta all’indomani, cioè oggi, per approvare il dl anche perché l’ultimo giorno utile è proprio il 19 giugno dopo di che il provvedimento scadrà.

Una corsa contro il tempo e dire che l’opposizione aveva steso una mano alla maggioranza, quando il capogruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Luca Ciriani aveva proposto di «riscrivere insieme un nuovo decreto, lasciando a loro la scelta dei modi e dei tempi, e disponibili a venire in Aula anche domani ed approvandolo nella stessa giornata». Offerta, rispetto la quale «la maggioranza con arroganza ha deciso di andare avanti rischiando seriamente di cadere».

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Questo episodio, al di là di gettare un’ombra non positiva sulla gestione del Senato, uno stesso precedente risale al lontano 1989, evidenzia i problemi di tenuta e di assetto della maggioranza che al Senato, dove ha numeri sono più risicati, mostra tutti i suoi limiti.

E viene da sorridere rispetto all’immagine bucolica e patinata del premier Conte e del suo governo che traspare dalle cronache e dalle immagini che giungono da villa Pamphilj. Anzi si può dire che quanto sta accadendo agli Stati Generali dia una considerazione sbagliata e travisata della situazione del governo.

Renzi: in questo periodo nostro mestiere salvare il governo

Matteo Renzi

Lo ha ammesso con una certa dose di perfidia Matteo Renzi ieri alla presentazione del suo libro: «In questo periodo il nostro mestiere è salvare il governo. Nel giro di una settimana lo abbiamo salvato due volte. Dobbiamo chiedere al governo di stare più attento alle procedure parlamentari ed essere più concreto. Oggi al Senato hanno voluto fare la prova di forza ma i numeri non c’erano, lo abbiamo salvato noi».

Dichiarazioni rilasciate prima del controllo fatto del Senato, ma che comunque danno il senso dello sbandamento e della confusione nella maggioranza. E non a caso Renzi tocca un problema reale ed è quello di una coalizione che nei fatti è tenuta insieme dalla paura del voto e che si è data una missione: eleggere il presidente della Repubblica. Missione non semplice visto che il 2022 è lontano e come dice giustamente Renzi un incidente può capitare.

In alto mare intesa su modifica decreti Sicurezza

Il problema è che i temi sui quali il governo può cadere stanno aumentando progressivamente e, cosa altrettanto preoccupante, sono soggetti a costante rinvio. Tra gli ultimi, ad esempio, il tema della modifica dei decreti Sicurezza. L’incontro di ieri al Viminale è andato male, nel senso che ha certificato la distanza tra le parti e che si dovrà lavorare per trovare un punto in comune.

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Da un lato c’è il M5S che punta ad intervenire soltanto sulle parti del testo oggetto dei rilievi del capo dello Stato. E cioè, riducendo le megamulte fino ad un milione di euro per le navi che soccorrono migranti (ripristinando quelle fino a 50mila euro), annullando la confisca dell’imbarcazione ed intervenendo sulla causa di non punibilità per la «particolare tenuità del fatto» alle ipotesi di resistenza, oltraggio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale ripristinando la discrezionalità del magistrato.

Dall’altro lato Pd, Leu ed Iv, che non condividono l’approccio minimal, continuano a puntare a interventi più importanti che partano dalle osservazioni del Capo dello Stato e portino a una riscrittura dei testi. Comunque un prossimo incontro è previsto per lunedì.

Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri

Sempre in tema di tensioni c’è poi la questione della modifica dei contratti a termine su cui il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, punta a riconoscere maggiore libertà alle imprese. In pratica il superamento di quanto previsto dal decreto Dignità attraverso un maggior ricorso a formule contrattuali più precarie.

Catalfo: lavorare al rifinanziamento della Cig

Evidenti le resistenze del M5S, che proprio del decreto Dignità ne avevano fatto una loro bandiera. E così il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha puntato subito i piedi: «C’è la norma nel decreto rilancio, non si va oltre. Dobbiamo lavorare al rifinanziamento della Cig e su altre misure». In effetti in serata fonti del ministero del Lavoro e del Mef hanno fatto circolare la notizia che i ministri Gualtieri e Catalfo starebbero lavorando in modo congiunto alle misure necessarie a sostegno delle imprese, dell’occupazione e di tutte le categorie di lavoratori per i prossimi mesi. Appunto altro rinvio.

Meloni: Mattarella non ha nulla da dire?

Centrodestra
Giorgia Meloni a Roma

E tra i temi a rischio per la maggioranza non va dimenticato il Mes. Finora il presidente Conte ha fatto di tutto per evitare di giungere a un voto in Aula e questo anche forzando la mano e le leggi. Ieri a La vita in diretta lo ha ricordato Giorgia Meloni: «La maggioranza ha impedito che si votasse su quello che va a fare Conte in Europa, perché non sanno come risolvere il problema del Mes, e c’è stata una violazione della legge e del ruolo del Parlamento».

Per poi fare un richiamo a Mattarella: «E’ una deriva da parte di questo governo, che non tiene minimamente conto del fatto che siamo una repubblica parlamentare, mi meraviglio che il presidente della Repubblica, che oggi ha incontrato Conte, sul tema della riunione di venerdì, proprio su questo non abbia detto nulla».

Ma il rinvio, come sa anche Conte, non è una soluzione e il timore che settimana dopo settimana possano sommarsi tensioni su tensioni è molto alto, con il rischio che poi basterebbe anche un piccolo detonatore per far esplodere tutto.

Per questa ragione il paesaggio bucolico e la calma di villa Pamphili non si addicono e anzi il paradosso potrebbe essere che Conte al termine di questo Stati Generali possa essere più debole rispetto a quando li ha inaugurati. Anche perché, come ha spiegato lui stesso, da lì non usciranno soluzioni immediate ma spunti che serviranno per preparare quel Recovery plan da presentare a settembre in Europa. Appunto un altro rinvio, e si sa che questi non sono mai un sintomo di forza, quanto piuttosto di debolezza.

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