Se quella «artificiale» mette in crisi l’intelligenza reale

di Rino Nania

L’umanità inaridisce, in una sorta di catalessi resiliente, fatta di sopportazione senza fine e di esistenze senza sussulti e creatività

L’interazione tra cervello, mente ed intelligenza in questi ultimi anni ha evidenziato nuove fragilità, dovendo fare i conti con la tecnologia. Con quella messe di dati, algoritmi, programmazioni che coniugano software e hardware e cospargono di dubbi il profilarsi del vivere, secondo paradigmi anomali che sottraggono umanità alle relazioni e ammantano di finzioni multiple le azioni e le soddisfazioni di «ego» malati.

Qui ed ora l’intelligenza, declinata con questi nuovi tratti, trova difficoltà a mettere in luce emozioni e sentimenti. Sì da determinare e generare un insieme cinico che trasforma i volti in maschere, incapaci di esprimere gioie, piaceri e soddisfazioni, o di contro dolori, malinconie e frustrazioni.

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Procedendo in questa direzione l’umanità inaridisce, presa da una sorta di catalessi resiliente, fatta di sopportazione senza fine e di esistenze senza sussulti e creatività. La vita, così, perde di vista la declinazione di quel vivere sfaccettato e variopinto, in cui i «grigi» vengono soppiantati dalla luce viva delle emozioni attraversando il prisma degli incantesimi e delle magie, misti ad ingenuità e genialità, si incammina in quella meravigliosa destinazione che è l’esperienza, attraverso cui si conoscono anime e corpi, volti e sguardi, assonanze armoniose ed emozioni vitali, ma anche di viltà mediocri e atrocità gratuite.

Così dalla coniugazione si giunge allo scontro

L’artificiale senso delle emozioni, fatto di linguaggio complesso e, nel contempo, semplice e di poesia con cui imparare la concreta percepita soddisfazione delle personalità compiute, si impatta duramente con l’artificiale astrattezza della distanza nei rapporti, che rimanda allo schermo di un computer da cui trasluce freddezza e pesantezza.

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Manca qui il sorriso leggero, che non è segno di superficialità, ma impronta nitida di una scelta: quella in cui prevalgono, rispetto alle forme, i sostanziali comportamenti in cui scompare lo zelante accanimento delle ipocrisie becere per salvare e custodire il dono dell’ascolto diretto, del contatto autentico che rende l’incontro tra persone vero e sorprendente, laddove ciascuno dona una parte di sé.

Di contro ogni innaturale simbiosi vissute, fintamente, nella virtualità tecnologica rende il confronto misterico e buio, in cui aspettarsi gli esiti nefasti di un «black mirror», la cui rappresentazione attraverso lo specchio, intrisa di negatività e pessimismo, risulta assumere i connotati nichilistici di un mondo in via di esaurimento. La cui unica possibilità resta la ribellione all’imprevedibile cigno nero.

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