Elezioni regionali: vittoria di Pirro del Pd e Caporetto dei 5Stelle. In primavera tocca al Sud

Roma
L’articolo di Mimmo Della Corte pubblicato sul ‘Roma’ il 29-01

Ma davvero ha così tanto da festeggiare il Pd per l’esito del voto di domenica? Assolutamente no! La partita si è chiusa 1 a 1, ma nel bilancio complessivo delle regioni amministrate dal centrosinistra e dal centrodestra, la distanza a vantaggio di quest’ultimo è ulteriormente cresciuta. Sabato, erano 12 (soltanto 3 nel 2014) quelle che governava, oggi, sono ben 13; mentre quelle di centrosinistra da 7 (ma erano ben 16 nel 2014) si sono, addirittura ridotte a 6. In attesa del voto primaverile che toccherà: Marche, Toscana, Liguria e Veneto e al Sud Campania e Puglia. Certo Bonaccini che nel 2014 (aveva vinto con il 49,05%) ieri ha conquistato il 51,6% dei voti. Finora, però, in Emilia e Romagna e – perché no – anche in Calabria, nei confronti elettorali non c’è mai stata partita. Il risultato era scritto, ancora prima di cominciare. Stavolta, già alla viglia, tutto lasciava presagire che le cose potessero andare diversamente.

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Meloni e Fratelli d’Italia, sempre in crescita

Il che ha spinto Salvini a trasformare il voto in un referendum su stesso e questo non ha pagato. Anzi. Ha costretto, il centrodestra a pagare dazio, in Emilia. Meglio, molto meglio è andata in Calabria anch’essa vecchio feudo rosso, dove, però, lui è stato meno presente. Un risultato, quindi, che impone di rivedere anche il modello dei rapporti all’interno del Centrodestra. Dove FdI (8,9% in Emilia R e 11,8 in Calabria) continua a crescere, più di tutti.

Nella prima, i riflettori sempre accesi e i giornali pronti a coglierne tutte le sfumature, hanno finito per trasformare qualunque cosa facesse in un eccesso di negatività e di odio. Per poi, scaricarle sulla Borgonzoni, candidata presidente, voluta ed imposta alla coalizione dal leader leghista, più con l’assenso che con il consenso degli alleati. Del resto non avrebbe potuto essere diversamente, dal momento che lui ha scelto di giocarsi proprio qui tutte le sue carte, e che Pd e M5s, avevano, ed hanno, ben poche cose di cui andare fieri. Tant’è che se, il centrosinistra ha vinto con il 49,05%, contro il 46 (29,05 nel 2014) del centrodestra, Bonaccini si è riconfermato governatore con quasi il 52% dei consensi, contro il 44 della Borgonzoni. Insomma, il voto disgiunto ha giocato a favore del governatore uscente e rientrante. Le sardine con l’antisalvinismo ittico hanno fatto il resto. Senza, però, colpire il loro principale avversario – che comunque è cresciuto, anche se non abbastanza, rispetto alle elezioni precedenti – ma svuotando completamente i 5s. E soprattutto facendo crescere di oltre 30 punti l’affluenza al voto. Fatto assolutamente positivo.

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Il Sud dice “no” all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza

Nella seconda, il silenzio tombale degli organi d’informazione, l’aspirante governatrice Santelli, espressione di FI, la meno oppressiva presenza delle sardine e quella decisamente più saltuaria dei leader dei partiti, Salvini compreso, la campagna elettorale impostata più su questioni locali che nazionali, nonché lo scarso peso politico del candidato di centrosinistra, Callipo (30,2%), hanno consentito alla Santelli (55,36%) di diventare la prima presidente donna della regione, surclassando il suo antagonista di oltre 25 punti. Il che, impone di rivedere anche il modello dei rapporti all’interno del Centrodestra. Altrimenti, rischia soltanto di abbaiare alla luna. Ma il voto dice – a chi vuole intendere – anche qualche altra cosa, decisamente significativa. Intanto che il Sud non si lascia condizionare dall’assistenzialismo e dal reddito di cittadinanza.

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Per il momento, il governo può tirare un sospiro di sollievo. Il successo in Emilia e Romagna, per ora, gli garantisce la sopravvivenza. I pentastellati sul territorio si sono praticamente squagliati – e per non rischiare la poltrona e tornarsene a casa – si guarderanno bene dal metterne in discussione la continuità. A differenza del Pd cui, questo risultato, consente di guardare al futuro con minore preoccupazione e in condizioni di forza, rispetto agli alleati. Magari provando a convincerli a scendere a più miti consigli su questioni di vitale importanza – anche sotto il profilo della civiltà e della democrazia – per il Paese: prescrizione, giustizia, fisco, Ilva, Alitalia, autostrade, politica industriale, reddito di cittadinanza, immunità. Purtroppo, non sarà facile. Anche perché, per quanto non ancora raggiunto per il M5s – resta il primo partito in Parlamento – il fondo del burrone è vicinissimo. Cosa che, sommata all’incompetenza trionfante fra le sue fila, lo rende pericoloso e incontrollabile. Per gli alleati e il Paese.

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