Covid-19, la felicità in tempo di pandemia: consumismo e globalizzazione

Nel testo di una vecchia canzone degli anni ’70, un figlio chiedeva al padre : «dimmi babbo, che cos’è la felicità? – E’ un bene che si ha solo in libertà» rispondeva il genitore.

Gli Antichi pensatori, gli scrittori ed i filosofi che abbiamo studiato nei nostri licei ci hanno insegnato che l’istinto alla felicità è insito nell’uomo e che, come diceva Aristotele, lo scopo dell’esistenza di ogni essere umano è proprio quello di raggiungere la felicità, in un contesto di libertà.

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Purtroppo oggi, gente distratta, abbiamo dimenticato gli insegnamenti degli antichi e peggio, abbiamo confuso la felicità col benessere e questo benessere con il confort e l’abbondanza dei beni di consumo, con buona pace della libertà, passata in second’ordine.

Forse oggi sarebbe più opportuno rimettere la felicità al suo giusto posto, senza confonderla con il concetto di libertà.

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Mentre la libertà una volta si riduceva all’adempimento del proprio dovere di cittadino secondo le leggi della Città, oggi consiste semplicemente nel fare ciò che si vuole senza preoccuparsi minimamente dell’etica comune. E se una volta la felicità significava soprattutto ricerca di sobrietà, oggi si traduce nel culto dell’accumulo, del possesso sempre crescente.

A questo punto dobbiamo chiederci se la pandemia che viviamo oggi potrebbe spingerci a rivedere il concetto di felicità fin qui perseguito.

Ma non è affatto sicuro e dobbiamo leggere questa crisi come l’assurdità di quella globalizzazione che, insieme ad altri indici ben identificabili per chi vuole vedere, rappresenta la prigione dei popoli e l’alienazione proprio della loro libertà; una globalizzazione ormai imperante che ha dimostrato in maniera lampante la debolezza di un’economia mondiale alla ricerca costante di maggiore guadagno.

Abbiamo oggi grandi quantità di telefoni portabili ad esempio, però non riusciamo a rifornirci di semplici mascherine che non sono certamente prodotti di alta tecnologia.

Le risposte alla crisi epidemica non tengono conto dell’origine del male e paradossalmente proprio Google, Apple, Microsoft, Amazon, Facebook ed Alibaba, tra gli altri, sono i maggiori approfittatori di questo male.

La chiusura delle librerie, mentre al contrario i grandi magazzini di apparecchiature elettroniche restavano generosamente aperti, dimostra chiaramente cosa intendano come servizio essenziale le élite che ci governano: per loro essenziale è quello che porta profitto ai grandi gruppi che sponsorizzano il potere.

I fallimenti infatti delle piccole e medie aziende vanno tutti a beneficio dei grandi gruppi a cui resta solo da raccattare le conoscenze tecnologiche e le maestranze rimaste senza guida e senza occupazione mettendosi in situazione ancor più dominante rispetto al mondo del lavoro smarrito e alla deriva.

Tutto questo dimostra perfettamente l’essenza della moderna felicità: entusiasmo consumistico e disponibilità di oggetti sempre più consumabili.

Si tratta di un impoverimento della sfera personale e della vita relazionale che ne costituisce la base, aggravata dalla volontà delle élite di numerizzare sempre più l’economia, in pratica digitalizzando e dematerializzando la vita dell’uomo.

Le crisi della società contemporanea ci hanno messo di fronte ad una sfida di civiltà : da una parte la felicità, intesa nel senso più attuale che ci renderà però sempre più schiavi del grande sistema numerico, dall’altra il ritorno all’antico concetto di felicità, quella legato al progresso di popoli sovrani e al benessere di uomini liberi. Oggi siamo arrivati al bivio.

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