Il Senato approva tra cori, accuse e tensione alle stelle
Il decreto sicurezza è legge. Per il provvedimento più dibattuto negli ultimi 18 mesi dentro e fuori i Palazzi, è stato un crescendo. E un’accelerata, nei tempi: nella giornata di ieri con 109 voti favorevoli e 69 contrari il Senato lo approva, blindato dalla fiducia, a sei giorni dalla deadline per la conversione in legge.
Al traguardo si arriva con un sit-in in stile gandhiano organizzato di mattina in Aula da Pd, M5s e Avs. Protagonisti decine di senatori, seduti a terra, gambe incrociate e mani alzate che urlano «Vergogna!» e mostrando cartelli con la scritta «Denunciateci tutti». E un finale, all’ora di pranzo, da guerriglia verbale: tra Fratelli d’Italia e il resto delle opposizioni, si sfiora la rissa.
Il senatore questore Gaetano Nastri cerca di evitare il peggio ma torna a casa con una spalla contusa. Cronaca di uno scontro annunciato, duro e prolungato sulla legge che introduce «14 nuovi reati e terrificanti aumenti di pena» come denuncia il fronte del ‘no’, e che restringerebbe il campo dei diritti e del dissenso.
La maggioranza festeggia: «Lo Stato torna forte»
Il centrodestra invece esulta. Lo fa il partito di Giorgia Meloni con uno striscione («Lo Stato torna forte») sventolato orgogliosamente sotto Palazzo Madama. La premier vanta il «passo decisivo» fatto con l’approvazione definitiva del decreto, assicurando che «legalità e sicurezza sono pilastri della libertà». Soddisfatto pure Matteo Salvini che, da senatore, vota la fiducia. Difende «le norme di civiltà» contro borseggiatrici, truffatori di anziani e chi occupa case abusivamente e annuncia il prossimo step: «assumere più forze dell’ordine e dare loro ancora più poteri e tutele».
Al risultato si arriva con un lunghissimo stop and go, con l’ostruzionismo del centrosinistra e le fughe in avanti della maggioranza. Come il passaggio dal disegno di legge (che era la forma originaria del testo, nel 2024) al decreto varato ad aprile.
Un percorso a ostacoli anche nel centrodestra: brandito all’inizio quasi esclusivamente dalla Lega, il provvedimento fa fibrillare la coalizione di fronte alle riserve del Quirinale sulle misure a rischio costituzionalità. Ad aprile lo sblocco: spariscono gli articoli più rischiosi e il resto finisce in un decreto. Da qui le bordate delle minoranze sul «Parlamento umiliato» per la discussione ridotta o azzerata.
Scontri verbali su detenute e figli: l’aula si infiamma
Gli animi, già caldi, si accendono martedì in tarda serata quando il senatore Gianni Berrino di FdI difende la legge e, sulle detenute con figli, urla: «Le donne che fanno figli per poter rubare, non sono degne di farlo». Per Ada Lopreiato dei 5S, ciò dimostra che «questo decreto è uno scempio».
La giornata riprende apparentemente liscia verso il voto di fiducia ma dopo qualche minuto i senatori di Pd, 5s e Avs entrano in aula e iniziano la protesta silenziosa davanti ai banchi del governo. Il presidente Ignazio La Russa non si scompone e un po’ li irride: «Accomodatevi, c’è ancora posto. Però seduti in silenzio mi piace». Poi sospende l’aula, concede la riunione dei capigruppo ma riprende poco dopo, dritti verso il finale.
Renzi sotto tono, Balboni alza il tono sul 41 bis
Non spiccano, stavolta, gli attacchi arguti di Matteo Renzi in Aula, che tuttavia ammette: «La mia indignazione è a un punto senza ritorno», condannando soprattutto le norme sui servizi segreti.
Stavolta a rubargli la scena è Alberto Balboni, meloniano di ferro e relatore del decreto. Difendendo la legge e vantandosi di stare dalla parte dei più deboli, Balboni fa alle opposizioni una «domanda retorica» (è la sua difesa) sulla presunta vicinanza alla criminalità organizzata. «Per chi propugna la dottrina Salis capisco che preferiate stare dalla parte della criminalità organizzata», dice. Scoppiano urla, cori «Fuori, fuori!», segue la censura della presidenza dell’Aula e Balboni si scusa.
Ma dura poco: parlando del carcere, accosta le opposizioni ad Alfredo Cospito, il detenuto al regime del 41 bis che senatori Dem avevano incontrato in carcere. «Ecco, se c’è una differenza tra destra e sinistra è che mentre voi andavate a trovare terroristi e mafiosi noi venivamo in quest’aula a difendere il 41 bis». Troppo per le opposizioni, che si avvicinano ai banchi del relatore con «aria minacciosa» in particolare Carlo Calenda, raccontano parecchi. Ed è solo il cordone dei commessi e dei senatori questori, a evitare la rissa.