Ha confessato 150 omicidi tra cui quello del piccolo Di Matteo
L’ultimo debito con la giustizia l’ha saldato qualche giorno fa, quando sono scaduti i 4 anni di libertà vigilata che la corte d’appello di Milano gli aveva imposto nel 2021. Una misura arrivata dopo i 25 anni di carcere scontati. E adesso è sotto protezione. Che il fine pena sarebbe giunto anche per Giovanni Brusca, il boia di Capaci, era scontato. Come scontate sono le reazioni che la notizia ha suscitato.
«Ho appreso la notizia della liberazione definitiva di Giovanni Brusca. Lo so bene che è stata applicata la legge ma sono molto amareggiata. Ritengo che questa non è giustizia né per i familiari né per le persone perbene. A distanza di 33 anni i processi continuano e non sappiamo la verità. Mi aspetto che la città si indigni, se è vero che è cambiata», commenta, amareggiata, Tina Montinaro, la vedova di Antonio Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone morto il 23 maggio del 1992 insieme al giudice, alla moglie Francesca Morvillo e agli altri due agenti che proteggevano il magistrato, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
La strage di Capaci e gli altri cimini efferati
Brusca, secondo le ricostruzioni investigative e su sua ammissione, azionò il telecomando che innescò la terribile esplosione che sventrò l’autostrada a Capaci uccidendo Falcone. Solo uno dei crimini efferati commessi dal boss di San Giuseppe Jato che, dopo aver deciso di collaborare con la giustizia, ha confessato 150 omicidi tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito sequestrato, strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia.
Indimenticabile il confronto in aula tra il padre del ragazzino, che i boss tentarono di costringere a ritrattare proprio col rapimento del figlio, e Giovanni Brusca, tra gli ideatori del sequestro. Finito in cella nel 1996, dopo una falsa partenza da pentito (finse di collaborare con la giustizia), Brusca ha scritto migliaia di pagine di verbali autoaccusandosi di stragi e delitti e consentendo agli inquirenti di mettere a segno centinaia di arresti. Ma sulla sua sincerità, specie riguardo ai propri beni e ai propri favoreggiatori, i dubbi sono sempre rimasti.
Le reazioni alla liberazione
«C’è poco da dire. È una vicenda che sta nell’ordine delle cose. Ha scontato la pena, ha usufruito del trattamento previsto dalla legge per i collaboratori. Dico solo che, anche da uomo libero, resta un criminale», commenta secco Alfredo Morvillo, ex magistrato e fratello di Francesca Morvillo.
Secca anche Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso a Capaci. «Come cittadina e come sorella, – ha detto – non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre. Ma come donna delle istituzioni sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno. Ha beneficiato di questa normativa, ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra».
Sulla stessa linea l’ex magistrato ed ex presidente del Senato Piero Grasso secondo il quale «dobbiamo evitare reazioni di pancia e ragionare insieme. La legge per cui ora, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è considerato libero l’ha voluta Giovanni Falcone, ed è la legge che ci ha consentito di radere al suolo la cupola di Riina, Provenzano e Messina Denaro, che negli anni 80 e 90 ha insanguinato Palermo, la Sicilia, l’Italia». Brusca, saldato il suo conto con la giustizia, resta sotto protezione.