La donna a processo per l’omicidio pluriaggravato della figlia Diana
Le psicologhe del carcere di San Vittore «hanno aiutato e imbeccato» Alessia Pifferi a «fornire una versione differente a quella cristallina fornita fin dall’inizio». Lo ha sostenuto in aula il pm di Milano Francesco De Tommasi nell’intervento in cui ha chiesto di escludere la relazione che avrebbe accertato, tra l’altro, un deficit cognitivo nella donna a processo per l’omicidio pluriaggravato della figlia Diana di quasi 18 mesi.
Con i ripetuti colloqui in carcere, emersi dall’acquisizione del diario clinico, «non è stato fatto un percorso di assistenza, ma uno di rivisitazione in un’ottica difensiva quasi si trovasse davanti a consulenti privati», ha sostenuto De Tommasi, co-titolare del processo con la collega Rosaria Stagnaro. La Corte di assise, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, ha respinto l’istanza motivando che la pretesa dei pm «si fonda su argomentazioni tecniche dei consulenti di parte e i profili di inutilizzabilità non riguardano pregiudiziali giuridiche, ma di natura tecnico-psichiatrica» che saranno valutate con la perizia.
Anche la richiesta della difesa di sentire come testimoni le psicologhe è stata respinta. Sul punto in precedenza il pm De Tommasi aveva ventilato la possibile commissione di condotte illecite, in astratto falso ideologico o favoreggiamento, da parte delle due professioniste al punto di sentirle eventualmente in altra «veste processuale con le garanzie di legge».
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