In manette boss, gregari, colletti bianchi e imprenditori
Boss e gregari ma anche colletti bianchi e imprenditori: sono 56 le persone finite in carcere o ai domiciliari nell’ambito dell’operazione «Olimpo» contro le cosche del vibonese condotta dalla Polizia di Stato, con il coordinamento della Dda di Catanzaro, che ha portato anche al sequestro di beni per 250 milioni di euro. I provvedimenti hanno riguardato esponenti di tutti i clan di spicco di una delle zone di maggiore richiamo turistico della Calabria che ruota intorno a Tropea, la «Costa degli Dei»: dai Mancuso ai La Rosa, ai Lo Bianco-Barba, a Il Grande e gli Accorinti.
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Destinatari delle misure cautelari, eseguite all’alba di ieri da nord a sud del Paese, soggetti più o meno noti indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, sequestro di persona, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza con violenza e minaccia e traffico di influenze illecite, reati aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa; nonché di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione ed al riciclaggio di macchine agricole, aggravate dalla transnazionalità e anche in questo caso dall’agevolazione mafiosa.
Tra gli arrestati ci sono anche l’ex assessore regionale e imprenditore Francescantonio Stillitani, di 70 anni, e il fratello Emanuele (68), entrambi già finiti in carcere nell’ambito dell’operazione «Imponimento» e tornati da poco in libertà; ma anche due funzionari della Prefettura di Vibo Valentia, Rocco Gramuglia, di 54 anni, e Michele La Robina (65 anni): il primo in servizio nell’Ufficio di gabinetto del Prefetto e il secondo già coinvolto nell’indagine Rinascita-Scott.
Gli inquirenti: «Colpisce la totale assenza di denunce»
Gli appetiti della ‘Ndrangheta, secondo quanto è emerso dalle indagini, si allungavano sui fondi destinati al turismo anche facendo ricorso a strategie, aderenze ed «entrature» per avvicinare, tramite intermediari, il management del Dipartimento Turismo della Regione Calabria. Uno dei presunti intermediari sarebbe stato Pasquale Anastasi, settantaduenne, ex potente direttore generale del Dipartimento Turismo e beni culturali dell’Ente, in carica fino al 31 dicembre 2016, al quale viene contestato il traffico di influenze illecite.
Anastasi, secondo l’accusa, si sarebbe fatto promettere indebitamente denaro per uno specifico affare da Vincenzo Calafati, responsabile per la Calabria del tour operator tedesco «Tui» e referente della ‘Ndrangheta vibonese, per intervenire, in qualità di «consulente», sulla predisposizione, pubblicazione e selezione dei vincitori di bandi del settore. «In questa indagine – ha detto il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri – ci sono non gravi indizi di colpevolezza, ma prove. E i risultati sono stati ottenuti grazie alle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche».
Sulla «mancanza di denunce da parte degli imprenditori» e «la capacità delle cosche di possedere il territorio» ha parlato, invece, Francesco Messina, direttore dell’Anticrimine della Polizia di Stato. «Emergono preoccupanti profili – ha aggiunto Messina – che riguardano la Pubblica amministrazione, così come casi di investitori stranieri costretti a venire a patti con le consorterie ‘ndranghetiste».
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