“Time” incorona Volodymyr Zelensky «uomo dell’anno» 2022

Ma dietro il racconto ideale c’è una realtà che non ha niente a che vedere con la fiaba e il lirismo della motivazione

Dal 1927, anno in cui la prestigiosa rivista americana “Time” insignì l’aviatore Charles Lindbergh del titolo di «uomo dell’anno», questa attribuzione è divenuta un rituale fisso nel mondo dei media internazionali. I laureati sono stati nel tempo, evidentemente, personalità molto diverse: persino Hitler nel 1933 e Stalin nel 1938, ma anche De Gaulle, l’ayatollah Khomeini, ma anche Putin e Giovanni Paolo II vennero insigniti del titolo.

La scelta per il 2022 è caduta su Volodymyr Zelensky, (e chi altro?) motivata dal redattore capo del Time con un lirismo degno dei migliori letterati americani, da Whitman a Ginsberg, da Corso a Bukowski.

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Edward Felsenthal, questo il nome del redattore capo, nel panegirico che incensava Zelensky, è stato capace di tirarci dentro coraggio, paura, libertà con un accenno alla fragilità della democrazia e della pace.

Nel rigido manicheismo del conflitto fratricida in corso, invece di legittimare, ad esempio, la furia guerriera della von der Leyen, sarebbe opportuno un minimo di prudenza perché, al di là della retorica dell’aggressore e dell’aggredito, bisognerebbe avere l’onestà di ammettere che ognuno ha le sue ragioni, buone o cattive che siano, ma tutte più o meno legittime: Mosca non voleva un’Ucraina, almeno nella sua parte occidentale, sempre più legata alla NATO (leggi Usa) e Kiev diffidava della tutela del Cremlino.

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Che oggi il “Time” faccia sua la versione escatologica che opporrebbe la democrazia e la pace alla barbarie cosacca sembra una presa di posizione perlomeno debole, anche se questa semantica sembra essere quella osservata dalla maggior parte del mondo politico-mediatico odierno.

Certo sembra un non senso dichiarare a gran voce la propria vocazione alla pace come fa l’Unione europea e poi favorire l’invio di armi e finanziamenti miliardari ad una parte in causa senza aver obbligato invece i due contendenti a sedersi al tavolo delle trattative, certamente difficili ma al tempo stesso unica alternativa alla morte e alle distruzioni della guerra.

Ma chi è l’uomo dell’anno del “Time”?

Sicuramente Zelensky non è un cavaliere bianco che sfida la corruzione né un profeta che diviene eroe, ma come diceva una fortunata serie americana dell’arcano, XFiles, la verità è altrove.

Come avviene ormai da tempo nella società occidentale (e non) è la televisione a far conoscere un personaggio, nel caso di Zelensky l’attore protagonista di una fortunata serie televisiva, e crearne poi un idolo popolare che, nel 2019, diviene presidente della repubblica Ucraina.

Ma dietro il racconto ideale c’è una realtà che non ha niente a che vedere con la fiaba. Dietro il canale televisivo che ha diffuso la fortunata serie “Servitore del popolo” c’è il magnate multimiliardario Ihor Kolomoisky, uno dei più grandi oligarchi del paese, personaggio inquietante come inquietante a questo punto appare anche il tenore di vita di Zelensky che, intercettato nello scandalo Pandora Papers è stato obbligato a giustificare l’acquisto di tre proprietà nel centro di Londra e della titolarità di una moltitudine di società offshore.

Del resto, oggi nel quadro delle sue responsabilità istituzionali, il presidente Zelensky rimane perfettamente in linea col personaggio che si è costruito addosso: a volte sfrontato, a volte prudente col vicino russo ma intenzionato ad avvicinarsi all’Europa ed alla NATO e capace, se poi «la verità non è altrove»”, di rifiutare persino la proposta americana di essere trasferito in un luogo sicuro affermando di non voler abbandonare la sua capitale e di aver invece bisogno di armi e di mezzi finanziari per combattere piuttosto che di accettare l’idea di venire esiliato.

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