Collaborazioni dall’Europa, al Sud America fino all’Africa
«Questa non è una normale operazione antidroga, per quanto ci riguarda». Esordisce così Alfredo Fabbrocini, capo della Squadra mobile di Napoli, spiegando ai giornalisti il blitz interforze contro il ‘sistema’ di narcotrafficanti che faceva capo a Raffaele Imperiale che ha portato in carcere 28 indagati. «Quello che certifichiamo oggi è l’esistenza di un cartello che ha un peso mondiale -sottolinea – uno dei cartelli più forti esistenti al momento, con collaborazioni che andavano dall’Europa, al Sud America fino all’Africa».
Un’operazione che è stata possibile grazie allo sforzo nato dal coordinamento tra Dia, Polizia di Stato e Guardia di Finanza. «Per far comprendere la dimensione criminale e imprenditoriale di questa organizzazione, basti pensare che ha movimentato in poco più di un anno cocaina per quasi 300 milioni di euro facendola arrivare direttamente dal Sud America», dice ancora. Un sistema collaudato e complesso, fatto di corrieri, auto con doppi fondo, comunicazioni cifrate e case adattate a bunker per custodire carichi di droga e soldi. In uno dei depositi sequestrati c’erano 150 chili di coca, 50 chili di hashish e 650.000 euro in contanti.
I depositi e i danni collaterali calcolati
I depositi, spesso semplici abitazioni adattate allo scopo, individuati in provincia di Napoli, nel Lazio, in Emilia Romagna e in Abruzzo, erano gestiti da persone che ci vivevano, ricevevano uno stipendio ed erano interne all’organizzazione. La droga veniva celata all’interno di container provenienti dal sud America, in particolare dall’Ecuador, all’interno di carichi di copertura (per esempio frutta esotica). Arrivato sul territorio nazionale italiano, o negli altri porti europei, il carico proseguiva grazie a camion e tir per poi essere stoccato.
«L’organizzazione comunicava attraverso sistemi di messaggistica cifrati – aggiunge il tenente colonnello Danilo Toma, del Gico della Guardia di Finanza di Napoli – sistemi che è stato possibile decriptare anche grazie alla collaborazione tra Dia, diverse procure ed Eurojust». Il gruppo di Imperiale non aveva timore di subire perdite dall’eventuale sequestro dei carichi. Lo stupefacente veniva parcellizzato sul territorio per evitare di vedere ‘scomparire’ nei depositi delle forze dell’ordine grosse partite in caso di sequestri, ma dalle intercettazioni è emerso che l’eventualità era una specie di danno collaterale calcolato e previsto.
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