Si schierò contro ma per gli inquirenti forniva «un efficiente contributo al clan»
«Rimaniamo tutti, me in testa, affianco, con atti e fatti, a don Ferdinando Russo per la difesa di quei valori che vorremmo condivisi da tutta la nostra comunità: noi con lui in ogni caso». Così l’allora sindaco di San Paolo Belsito Manolo Cafarelli dopo l’Inchino, il 5 giugno 2016, della Beata Vergine del Rosario davanti alla casa del boss Agostino Sangermano.
L’ex primo cittadino prendeva una posizione netta contro la camorra e a favore della decisione del parroco, don Ferdinando Russo, di abbandonare la processione dopo quel gesto di sottomissione. Cafarelli, però, risulta nell’elenco delle 35 persone indagate dalla Direzione Distrettuale Antimafia che gli contesta il concorso esterno in associazione mafiosa: secondo gli inquirenti dal 2010 avrebbe fornito «un efficiente, cosciente e volontario contributo funzionale al perseguimento degli scopi associativi, idoneo a garantire il rafforzamento, la conservazione e l’operatività del clan».
Per questo gli inquirenti hanno chiesto una misura cautelare però non accordata dal giudice. Il contributo al clan, secondo la DDA di Napoli, si concretizzava con l’assegnazione di commesse, anche edilizie, pubbliche e private agli imprenditori ritenuti legati al clan; impegnandosi per far assumere gli affiliati e consentendo le ingerenze del clan nelle scelte, anche di natura politica, del Comune, come l’assegnazione degli incarichi nella Giunta.
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