L’annullamento riguarda anche i beni sequestrati alla moglie e ai 3 figli, e agli indagati Scaringi e Zorengo
Il Tribunale del Riesame di Napoli (decima sezione) ha annullato il sequestro dei beni disposto dal Gip partenopeo Giovanna Cervo a carico del 68enne Nicola Schiavone, finito in carcere il tre maggio scorso (poi posto ai domiciliari) perché ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia storico socio e prestanome del capoclan dei Casalesi Francesco «Sandokan» Schiavone.
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L’annullamento ha riguardato anche i beni sequestrati alla moglie e ai tre figli di Nicola Schiavone e agli altri due indagati Vittorio Scaringi e la madre Anna Maria Zorengo. Tutti gli indagati, accusati di riciclaggio e intestazione fittizia di beni con l’aggravante mafiosa, possono dunque rientrare nella disponibilità dei beni, per un valore totale di quasi cinquanta milioni di euro; figurano 32 immobili situati ad Aversa, Giugliano in Campania (Napoli), Roma, Cerveteri e quasi un milione di euro di liquidi.
Nello staff di difensori Umberto Del Basso De Caro, Mario Griffo ed Elia Rosciano. L’indagine che ha coinvolto Nicola Schiavone riguarda un giro di appalti di Rfi che sarebbero finiti secondo i magistrati anticamorra della Procura di Napoli a ditte vicine ai Casalesi in cambio del pagamento di mazzette e regali – gemelli d’oro Cartier da 600 euro, soggiorni da oltre 9mila euro in costiera sorrentina – a funzionari della società ferroviaria.
Il blitz del 3 maggio scorso
Momento fondamentale dell’inchiesta è stato il blitz del 3 maggio scorso, quando i carabinieri di Caserta e il personale dalla DIA di Napoli e del NIC del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, hanno eseguito 35 misure cautelari (17 in carcere, 17 domiciliari e un obbligo di presentazione): in manette sono finiti Nicola Schiavone e il fratello Vincenzo, il boss dei Casalesi Dante Apicella (già detenuto da anni), imprenditori ritenuti in affari con la fazione Schiavone della mafia casalese, «colletti bianchi» del clan e dirigenti all’epoca dei fatti di Rete Ferroviaria Italiana.
Tra gli appalti finiti nelle mani di ditte riconducibili al clan, figura anche quello di Rfi riguardante le centraline di sicurezza e della pavimentazione stradale. Venti giorni dopo gli arresti, il Riesame di Napoli ne ha però annullati una buona parte, scarcerando Vincenzo Schiavone e una decina di indagati, ed escludendo inoltre per Nicola Schiavone la contestazione di associazione mafiosa, cosa che lo ha fatto finire ai domiciliari. Il 69enne Schiavone è la figura di spicco dell’inchiesta, in quanto sarebbe riuscito ad entrare in contatto con i vertici di RFI avvalendosi della sua figura di consulente delle ditte. Schiavone è amico e padrino di uno dei figli di Francesco «Sandokan» Schiavone.