Camorra, così i Casalesi puntavano l’appalto del Centro ricerche aerospaziali di Capua

di Redazione

I retroscena dell’indagine che vede coinvolte 11 persone

Le mani del clan dei Casalesi, attraverso uno dei «suoi» imprenditori più esperti, si erano allungate fino a un appalto del Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) di Capua, in provincia di Caserta, per la messa in sicurezza di un deposito. Ad ipotizzarlo sono gli inquirenti della Dda di Napoli, i sostituti procuratori Maurizio Giordano e Graziella Arlomede, che hanno ottenuto dal gip Isabella Iaselli 11 misure cautelari nei confronti dell’imprenditore Sergio Orsi, di suo figlio Adolfo, di suo nipote Salvatore, e di altre 8 persone, tra le quali dipendenti del Cira, prestanome, intermediari.

Coinvolto anche un altro notissimo imprenditore, Fabio Oreste Luongo, 44 anni, che il giudice ritiene «gravemente indiziato di partecipazione al clan dei casalesi». I provvedimenti sono stati notificati dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Aversa che ipotizzano, a vario titolo, la corruzione e la turbata libertà degli incanti, reati aggravati dalla finalità di agevolare la mafia casalese.

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L’appalto da 40mila euro su misura

Grazie alla «collaborazione» offerta dal 52enne Carlo Russo, responsabile unico della procedura di scelta del contraente, e da Vincenzo Filomena, 60 anni, progettista dell’Ufficio Tecnico del Cira, Orsi sarebbe riuscito a farsi «disegnare» un appalto su misura, da quasi 40mila euro, per la messa in sicurezza di un deposito. Secondo gli investigatori, quell’appalto, rappresentava la «porta» d’accesso ad altre gare, più cospicue, anche da 600mila euro, sulle quali voleva mettere le mani facendovi partecipare solo aziende a lui riconducibili.

Le indagini, basate sulle conversazioni intercettate con un trojan, comparate con gli atti acquisiti, hanno consentito anche di documentare un colloquio tra Sergio Orsi e il figlio Adolfo, durante il quale quest’ultimo si lamenta della tangente da corrispondere a Russo e Filomena (del 5% ciascuno): «Il 10% sul lavoro? non è assai, papà, su 40mila euro di lavori?… ma al 10% nemmeno più i camorristi ci arrivano».

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Sergio Orsi sembrava essersi allontanato da quell’«area grigia» nella quale aveva lavorato con il fratello Michele, ucciso nel 2008 dai sicari del clan dei Casalesi guidati da Giuseppe Setola. Invece, avvalendosi di prestanome, come il nipote, stava continuando il «business». Con il rito abbreviato è stato condannato nel marzo 2009 al termine del processo Eco4.

Le misure disposte dal gip

Il gip ha disposto il carcere per Orsi e Fabio Oreste Luongo; i domiciliari per Carlo Russo, Vincenzo Filomena e il pensionato Antonio Fago, 77 anni, che avrebbe fatto da intermediario tra la famiglia Orsi e Filomena e Russo. L’obbligo di dimora nel comune di residenza è stato disposto per Adolfo Orsi, 40 anni (imprenditore e figlio di Sergio), Francesco Pirozzi, 53 anni (geometra dell’Ufficio Tecnico del Cira), e per Amedeo Grassia, 59 anni (infermiere, ex assessore di Trentola Ducenta e intermediario). L’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa, infine, riguarda gli imprenditori Salvatore Orsi, 38 anni, nipote e, per i pm, prestanome di Sergio Orsi, Felice Ciervo, 30 anni e Fiore Di Palma, 52 anni.

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